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Giovanni Fantoni
(✶1755   †1807)

«Lode non vendo, non macchio l'anima
d'util menzogna, né la mia cetra
il grato suon riscuote
di adulatrici note»

Giovanni Fantoni (Fivizzano, 28 gennaio 1755 – Fivizzano, 1º novembre 1807) è stato un poeta italiano.

Terzo figlio maschio del conte Lodovico Antonio Fantoni e della marchesa Anna De Silva della Banditella, e quindi escluso dall'asse ereditario in ossequio alla legge del maggiorasco, fu avviato alla vita ecclesiastica e fatto educare nel monastero dei benedettini a Subiaco e, tre anni dopo, nel Collegio Nazareno degli Scolopi a Roma; ma il suo carattere insofferente alla disciplina e il suo spirito anticlericale non erano compatibili con la vita monastica. Così, nel 1773 fu apprendista nella Segreteria di Stato di Firenze e l'anno seguente fu iscritto all'Accademia Reale di Torino, da dove uscì nel 1776 con il grado di sottotenente. Nello stesso anno fu ammesso all'Accademia della Crusca e in quella dell'Arcadia con il nome di Labindo Arsinoetico.

La sua giovinezza è stata descritta come scapigliata e ricca di avventure amorose, tanto che il padre stesso si rivolse al Granduca di Toscana, Leopoldo I, chiedendogli persino di rinchiudere il figlio nella fortezza di Portoferraio e un anonimo informatore indirizzò una relazione al governo genovese, durante una permanenza del Fantoni nella città ligure, sostenendo che «questo è assai giovine e di maniere seducenti, onde è idolatrato dai giovani suoi contemporanei, e anche dalle dame le più forbite, con le quali usa carezze inusitate presso di noi e condannate dai virtuosi. Le sue massime sono perniciose, e contrarie alla buona morale. Queste quanto più si bevono facilmente, perché sono legate in versi leggiadri e lascivi, e quanto un soggetto mostra un genio e talenti straordinari per la poesia».

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Dal 1785 al 1788, su invito di Maria Carolina, si recò a Napoli, dove ebbe contatti con gli illuministi del regno. Attratto dalle dottrine giacobine nel 1796 partecipò ai moti di Reggio e Bologna. Deluso dalla svolta autoritaria della Repubblica cisalpina del 1798, aderì alla "Società dei raggi" di Giuseppe Lahoz venendo tratto in arresto due volte. Nel 1800 partecipò alla difesa di Genova, assediata dagli Austriaci e dagli Inglesi. Nello stesso anno venne nominato professore di eloquenza a Pisa ma, revocatogli presto l'insegnamento a causa delle sue opinioni giacobine, passò all'Accademia d'Arte di Carrara.

Morì a Fivizzano nella stanza dove nacque al primo piano del palazzo di famiglia, il primo novembre 1807.

In una delle sue ultime lettere, il 30 maggio, aveva scritto: «Amo gli uomini [...] ne desidero il bene senza alcun fine; gli istruisco, senza scompiacerli con una rigidezza, da amico, e compatendoli, compiangendoli e soccorrendoli come posso, servendomi dell'esempio dei miei stessi difetti, per spogliarmi dei loro; non dandomi soprattutto aria alcuna di distinzione o di singolarità, cerco di meritare la loro confidenza. Ecco il mio segreto, ch'è sì poco conosciuto».

Opere

Odi di Labindo, Massa, 1782
Scherzi di Labindo, Massa, 1784
Poesie varie e Prose di Labindo, Massa, 1785
Poesie Varie di Labindo, nuova edizione corretta e accresciuta, Livorno, 1792
Poesie, Genova, 1800
Poesie, edizione accresciuta di un terzo libro di Odi e di altre composizioni, Milano, 1809
Poesie, edizione completa a cura del nipote Agostino Fantoni e di Agostino Bartoli, Firenze, 1823
Poesie scelte, Torino, 1883
Le Odi, Torino, 1887
Poesie, Bari, 1913

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La poesia di Fantoni

«Il Fantoni, oltre all'ingegno vivace e l'animo alacre, e un'immaginazione di movimento lirico, aveva cultura varia e moderna. Di latino sapeva fino a comporre versi non da meno degli altri che si stampavano allora in Italia, ma scriveva francese alle signore, conosceva lo spagnuolo, e della letteratura tedesca pare avesse un'idea sua, più che del libro del Bertola in voga dopo l' '84. Era insomma un letterato alla moda, riproduceva in un italiano incipriato di gallicismo la galanteria delle prose francesi di società: deduceva nell'Arcadia nostra canora le cupaggini enfatiche dello Young, che pareano profondità di passione, e morbidezze di Gessner, che pareano naturalità di sentimento, un po' dietro le orme del Bertola, ma con versi più andanti e sonanti. Nelle Odi era oraziano [...] d'Orazio imitando sempre l'andamento e il fraseggiamento, il colorito e i metri. Odorava la rivoluzione; eppur tra una genuflessione e l'altra, abitudine di educazione, naturalissima nei contemporanei di Voltaire e di Diderot, a qualche sovrano, era già di massime e aspirazioni repubblicane».

Così Carducci su Fantoni, dal quale egli riprese, nei giovanili Levia Gravia e nei Giambi ed Epodi, tanto alcune forme metriche quanto i contenuti giacobini.

Fantoni unì il suo primario interesse per la ricerca poetica formale ai contenuti che, nell'irrequieto mondo letterario del secondo Settecento, successivamente si tramandavano o si imponevano, dalla tradizionale espressione arcadica all'idillio d'impronta gessneriana fino alle manifestazioni dei preromantici notturni younghiani.

Egli ha più interessi di eloquenza e di ricerca formale, come esprime nella prefazione all'edizione genovese delle sue poesie: «L'Autore mostrerà sinceramente al pubblico qual metodo ha tenuto in tentare questo genere di lirica, quali errori ha commessi, come ha procurato correggersene, quanto potrebbe ancora questo perfezionarsi, quali nuove strade restano da calcolarsi »ai lirici italiani onde rendere questo genere di poesia perfetto, degno di servire la pubblica istruzione e capace di formare il popolo».

Vi è dunque, in Fantoni, la volontà di assumere le nuove poetiche per elaborarle in forme letterarie piuttosto che di farle intimamente proprie.

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Bibliografia

Giovanni Sforza, Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, Genova, Tipografia della Gioventù, 1907.
Angelo Ottolini, La varia fortuna di Giovanni Fantoni, "Rivista d'Italia", ottobre 1907.
Giosuè Carducci, Opere, vol. XVIII, Bologna, Zanichelli, 1939.
Enzio Malatesta, Vita irrequieta di Labindo, Roma, Tosi, 1943.
Guido Santato, Il giacobinismo italiano utopie e realtà fra Rivoluzione e Restaurazione: utopie e realtà fra rivoluzione e restaurazione, Padova, Piccin, 1990, ISBN 88-299-0904-1, ISBN 978-88-299-0904-9, pp. 86-88 (on-line)
Amedeo Benedetti, La fortuna critica di Giovanni Fantoni, "Lunezia", Milano, n. 6, settembre 1995.
Lindo Boccamaiello, Giovanni Fantoni, La Spezia, Ed. Circolo Fantoni, 1996.
Amedeo Benedetti, Gli studi del Carducci su Giovanni Fantoni (in Arcadia Labindo), in "Critica Letteraria", a. XL (2012), fasc. 2, pagg. 371-387.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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