Perché temere è piano e credere è sdrucciolo?

Ci scrive Emanuele F. da Lecco: «Cortese sig. Raso, le sarei veramente grato se potesse spiegarmi il motivo per cui l’infinito dei verbi della seconda coniugazione, quelli in “-ere” per intenderci, si presenta ora in forma piana ora in forma sdrucciola (temére, crédere). Certo di una sua cortese risposta, la ringrazio in anticipo e le porgo cordiali saluti».

Gentile Emanuele, la ragione va ricercata — come sempre — nell’origine della nostra lingua, cioè nel... latino. Nell’idioma dei nostri padri esistevano due coniugazioni in -ere, di cui una con l’infinito piano (vidère, vedere), l’altra con l’infinito sdrucciolo (lègere, leggere), che costituivano, rispettivamente, la seconda e la terza coniugazione.
Queste due coniugazioni latine, che differivano non solo nell’infinito ma anche in altre forme, si sono unificate nella parlata durante il passaggio dal latino al volgare (l’italiano) mantenendo, però, la distinzione di accentazione dell’infinito, mentre le altre forme sono divenute uniche per entrambe le coniugazioni.
Da notare che a questa coniugazione (in -ere) appartengono i verbi faree dire, anche se alcune grammatiche li classificano,erroneamente, nella prima faree nella terza direconiugazione. Appartengono ambedue, come dicevamo, alla seconda coniugazione essendo le forme sincopate dei verbi latini fa(ce)ree di(ce)re.
La sincope, sarà bene ricordarlo, è la caduta di una o più lettere nel corpo di una parola. La prova del nove di quanto affermiamo si ha se si confrontano alcuni tempi e modi dei verbi fare e dire con altri della seconda coniugazione: facevo (temevo); dicevo (temevo); facessi (temessi); dicessi (temessi).

31-05-2017 — Autore: Fausto Raso