L'accento logico...

Chi ci onora dell’attenzione, seguendo assiduamente le nostre modeste noterelle sull’uso corretto dell’italico idioma, stupirà di fronte a un accento non registrato dalle grammatiche (molte, per la verità) che abbiamo esaminato: l’accento logico.
Quando – in lingua – si parla di accento si intende quello tonico che è l’accento per eccellenza in quanto – come dice la stessa parola – dà il tono alla parola medesima. Ma – come forse tutti non sanno – non è l’unico.
Oltre all’accento tonico (che non si segna graficamente) ci sono quelli grafici (accento acuto, grave e circonflesso, quest’ultimo adoperato, per lo più, nelle lingue straniere) e, per l’appunto, anche se misconosciuto, quello logico.
Come la modulazione della voce, posandosi su una sillaba della parola (accento tonico), dà maggior risalto e colorito a questa sillaba, così in un periodo la modulazione della voce si posa in modo particolare e determinante su una sola parola fra le tante per darle maggiore evidenza, per distinguerla, insomma, da tutte le altre. Questo è l’accento logico, appunto; un accento che serve per indicare la connessione, il rapporto che le parole hanno tra loro nel contesto del periodo.
Esso classifica, per così dire, i termini di una proposizione o frase secondo la minore o maggiore importanza delle idee che esprimono. Si potrebbe chiamare anche accento oratorio in quanto attraverso questo colui che parla a una folla esprime e comunica i sentimenti che l’agitano.
Inoltre – fatto di non secondaria importanza – in qualsivoglia frase, per corta e insignificante che sia, c’è un ritmo, una melodia. Molto più evidente in poesia, il ritmo non manca, però, nemmeno nella prosa, quando questa è ben costruita.
Quando leggiamo, infatti, ci occorrono necessariamente dei segni come punto di riferimento per la modulazione della voce: il punto fermo, il punto esclamativo, quello interrogativo e i puntini di sospensione sono i principali di tali segni. Vediamoli brevemente.
Il punto fermo, indicandoci la fine di un periodo, ci dice chiaramente che la nostra voce deve chiudere e concludere la melodia della frase in cadenza; la nota finale sarà, quindi, più bassa delle altre. Gli altri segni, invece, ci avvertono del fatto che la frase non è conclusa e dobbiamo, per tanto, alzare la voce per interrogare o esclamare ovvero per lasciare dopo quella nota più alta una pausa di sospensione.
Il ritorno a intervalli stabiliti, più o meno regolari, degli accenti tonici dà del resto a tutta la proposizione e a tutto il periodo un ritmo suo particolare. A tutto ciò si aggiungano le pause indicate dalle virgole, dai punti e virgola e dai due punti i quali costituiscono moltissime rotture del ritmo; e ecco che il... ritmo ora sale, ora si prolunga, ora scende, ora si spezza poi riprende e via...
Anche la prosa, insomma, è melodia e ha bisogno di un accento... logico. Non sappiamo spiegarci, quindi, le ragioni per cui i sacri testi della lingua lo ignorino.
Questo accento, dunque, esiste e tutti lo adoperiamo senza rendercene conto. Diamogli, quindi, il posto che merita nei trattati di linguistica.

21-12-2009 — Autore: Fausto Raso