Tacciamo e... tacciamo

I verbi tacere, giacere e piacere presentano una particolarità che la maggior parte delle grammatiche non riportano: il raddoppiamento della consonante c – nonostante il tema o radice ne contenga una sola – in alcune voci del congiuntivo e dell'indicativo.
La motivazione che taluni adducono a giustificazione del mancato raddoppiamento della c, per esempio, nella prima persona plurale del presente indicativo del verbo tacere (voce corretta: noi tacciamo) per non confonderla con la prima persona del verbo tacciare non ha ragione di esistere: il contesto chiarisce il tutto.
Perché, dunque, questo raddoppiamento improprio? La motivazione è storica e va ricercata nel fatto che il nostro idioma è un miscuglio di dialetti. La prima persona plurale del presente indicativo e congiuntivo di tacere (ma anche di giacere e piacere) – noi tacciamo – ha subìto l'influenza del dialetto meridionale che – al contrario di quello settentrionale, veneto in particolare – tende al raddoppiamento delle consonanti.
Si dica e si scriva, dunque, noi tacciamo nell'accezione di fare silenzio, nessuno potrà essere tacciato (accusato) di ignoranza linguistica, anzi… A questo proposito invitiamo le “grandi firme” (ma chi stabilisce la grandezza?), quelle che si piccano di fare opinione linguistica, di scendere dal loro piedistallo e di divulgare le voci scorrette che in realtà sono correttissime: noi tacciamo, noi giacciamo, noi piacciamo.
E a proposito di raddoppiamento, il diminutivo di libro è libriccino, con due c, non libricino come sovente ci capita di leggere negli articoli di alcune grandi firme di cui sopra. La motivazione di questa voce scorretta è la medesima: l'influenza della parlata meridionale nella lingua nazionale.
Se non piace libriccino, voce correttissima, ripetiamo, si può ricorrere ad altri diminutivi: libretto, librettino, libello, quest'ultimo, però, usato per lo più in senso spregiativo per mettere in evidenza uno scritto infamante e mordace, sebbene la voce spregiativa vera e propria sia libelluccio.
E sempre in tema di verbi è bene ricordare che espiare significa scontare una colpa non una pena. Si espia il crimine, dunque, non la condanna. Non è corretto, perciò, dire o scrivere «il detenuto sta espiando la condanna a 15 anni di carcere». Si dirà, correttamente: «il detenuto sta scontando (o verbi simili) la condanna».

09-02-2010 — Autore: Fausto Raso