Lo scanno

Gli amici lettori che ci onorano della loro attenzione sanno benissimo che non perdiamo occasione per fustigare gli operatori della carta stampata e no, i quali con i loro articoli fanno scempio della nostra bella lingua: abbiamo sempre sostenuto la tesi – e non ci interessa punto se ci ripetiamo – secondo la quale gli addetti all’informazione oltre che informare, appunto, debbono dispensare la cultura linguistica e ciò non avviene quasi mai.
Anzi, fanno di tutto per storpiare la lingua e confondere le idee alle persone sprovvedute, nonostante i reiterati appelli dell’Accademia della Crusca per un uso corretto della lingua di Dante. L’ultima smarronata – ultima si fa per dire – è di qualche giorno fa: «Il deputato regionale Caio Sempronio costretto ad abbandonare lo scranno». Dov’è cotanto errore? si dirà. Nel vocabolo scranno, che in buona lingua italiana non esiste.
Diciamo subito, con buona pace dei soliti bastian contrari, che alcuni vocabolari registrano questa voce, ma ciò non toglie che l’uso sia scorretto o, per lo meno, raro e, quindi, da evitare. La voce corretta è scanno. Lo scanno (senza la r) propriamente vale sgabello, panchetto e discende dal latino scamnum (senza la consonante r, come si può ben vedere) divenuto in lingua volgare, l’italiano, scanno, appunto, per l’assimilazione della m e la trasformazione della desinenza -u in -o.
Chi vuol parlare e scrivere correttamente deve rispettare, quindi, l’etimologia del termine e dire scanno. Un esempio stupendo lo abbiamo in alcuni versi di Dante: «così diversi scanni in nostra vita / rendono dolce armonia tra queste rote».
Ma anche nel Muratori, studioso di filologia, abbiamo un bellissimo esempio: «L’ignoranza occupava non solamente i bassi, ma anche i più sublimi scanni». A questo punto cerchiamo di trovare una spiegazione sull’uso scorretto e dilagante, ahinoi, di scranno.
L’unica spiegazione possibile si può far risalire alla corruzione popolare del vocabolo scranna e fatta propria da alcuni dizionari della lingua italiana. La scranna, infatti, è un sinonimo di scanno ma, al contrario di quest’ultimo, è di origine barbara essendo il longobardo skranna (panca).
Originariamente era una sedia dottorale, di legno, con braccioli e con spalliera molto alta. E con questo preciso significato il termine si è mantenuto nella locuzione figurata sedere a scranna, vale a dire assumere un tono dottorale, ergersi a giudice di qualcuno o qualcosa senza averne l’autorità, ma soprattutto la capacità.
Anche in questo caso abbiamo un esempio eccelso del divin toscano: «Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta di una spanna?».
Concludendo, quindi, diciamo e scriviamo scanno o scranna, lasciando lo scranno solo a color che vogliono… sedere a scranna.

08-05-2009 — Autore: Fausto Raso