Il parricida

Molto spesso non perdiamo occasione per criticare, o meglio per condannare, i costumi linguistici degli operatori dell’informazione. Questa volta, invece, ci complimentiamo con un redattore di un giornale locale il quale ha adoperato la lingua in modo corretto.
In un articolo di cronaca nera – purtroppo questa non manca mai – il cronista ha definito parricida un uomo che, in preda ai fumi dell’alcol, ha ucciso il figlioletto di due anni perché infastidito dal pianto insistente del bimbo. Termine più appropriato l’articolista non avrebbe potuto adoperare.
Contrariamente a quanto si è portati a ritenere il parricida non è solo l’uccisore del padre. Anche il padre che uccide i figli è un parricida, sebbene l’etimologia del termine (dal latino pater, padre) sembrerebbe escluderlo.
Alcuni insigni Autori – e chi scrive concorda totalmente – fanno derivare il termine parricida sì dal latino, non da pater però, ma da parens, parentis (parenti). Il parricida sarebbe, dunque, l’uccisore dei parenti. E i figli non sono parenti?
Giacomo Devoto, illustre glottologo scomparso, ritiene, invece, che in origine parricida valesse uccisore di un par, cioè di un pari, di un appartenente a un medesimo gruppo sociale. Qualunque versione etimologica vogliate ritenere più credibile resta il fatto – inconfutabile, a nostro avviso – che parricida nell’accezione di uccisore del figlio o della figlia non è da ritenere errato, anzi...
Nel linguaggio forense, del resto, parricida è colui che uccide un ascendente come un discendente. Non vorremmo leggere, un giorno, fliglicida o – latinescamente – filicida che, etimologicamente, sarebbe amico della morte, o, meglio, dell’uccisore. etimo.it È interessante, in proposito, ciò che si legge anche in Wikipedia.

02-09-2009 — Autore: Fausto Raso