L'emarginazione...

Crediamo che nessuna parola italiana abbia avuto più fortuna di quella di cui ci occupiamo in queste noterelle: emarginazione. È sempre sulla bocca di tutti, spesso a sproposito. Ma i fruitori per eccellenza di questo vocabolo sono gli operatori delle scienze sociali: sociologi, psicologi, insegnanti, assistenti sociali.
Non c’è un dibattito televisivo in cui uno degli invitati non la tiri fuori. «La causa di quanto sta accadendo, gentili signori, va ricercata nell’emarginazione in cui sono costretti a vivere questi poveri derelitti», così sentenziò, tempo fa, un notissimo sociologo intervistato da un giornalista della Rai sul problema dei nomadi a Roma e in altre città.
Cos’è, dunque, quest’emarginazione? C’è da dire, innanzi tutto, che abbiamo notato, con vivo stupore, che alcuni vocabolari non registrano il termine che deriva, ovviamente, dal verbo emarginare, cioè annotare, segnare in margine; è, dunque, un così detto deverbale. Questa omissione dei dizionari si può spiegare, probabilmente, con il fatto che il vocabolo in oggetto non esisteva nell’italiano antico né, tanto meno, nel latino.
Il verbo emarginare è una voce gergale degli addetti all’arte tipografica e significa, alla lettera, collocare fuori del margine (il prefisso e- che si riscontra in alcuni verbi suggerisce l’idea di esteriorità: e-mettere, e-leggere) e indica, con la massima chiarezza, l’operazione per cui il tipografo colloca una parola o un gruppo di parole fuori delle righe e, quindi, del corpo stampato, nella parte bianca a lato, per metterle bene in evidenza.
Se vi capita fra le mani un libro scolastico potrete notare, infatti, che molte parole sono scritte fuori del testo, del corpo, sulla destra e, per lo più, in neretto, appunto per evidenziarle. Con uso metaforico, cioè in senso figurato, è stato adoperato, anzi è adoperato il verbo emarginare, con i suoi derivati (emarginazione, emarginato) per indicare l’azione per cui una determinata comunità, o l’intera società, tiene fuori del suo corpo – come una pagina stampata – un individuo o un gruppo di individui.
A mo’ di esempio potremmo dire che sono emarginati tutti gli immigrati in una città i quali non riescono a integrarsi, a legare con i cittadini indigeni; coloro che per menomazioni fisiche o psichiche non vengono inseriti nella vita quotidiana e normale degli altri esseri umani; coloro che per via delle loro idee diverse da quelle della maggioranza sono isolati e quasi respinti dagli altri; i moltissimi diseredati che la miseria tiene fuori delle condizioni, se non ottimali, per lo meno tollerabili, della maggioranza delle persone che si ritengono civili.
Il termine emarginazione suggerisce, per tanto, l’idea di un isolamento, di una quarantena, umiliante e ingiusta. Fino a qualche anno fa l’emarginazione veniva accettata come un male incurabile cui porgeva una mano la carità pubblica o privata. Le cose, però, sembra stiano cambiando...

01-02-2010 — Autore: Fausto Raso