Se si perde la sindèresi...

Il piccolo Peppino marinaro appassionato, lì per lì provò un sentimento d’invidia quando apprese, dal padre, che un suo antenato – nell’Ottocento – fu condannato ai bagni penali. La pena, tutto sommato, non era stata molto pesante – pensò – e il suo avo aveva avuto la possibilità di “stare a bagno” tutto il tempo che voleva senza che alcuno lo rimproverasse… Non era stato affatto così, se ne rese conto quando il padre gli raccontò tutta la storia.
Pietro Giuseppe Antoni, questo il nome del condannato, perse la sindèresi provocando la morte di un uomo e fu condannato, appunto, ai bagni penali, vale a dire ai lavori forzati. Due parole due, amici lettori, sui bagni e sulla sindèresi.
Questo tipo di “punizione” (i bagni penali) – forse pochi lo sanno – trae origine e, quindi, il nome dal fatto che un tempo i condannati al carcere duro venivano impegnati a remare stipati nella sentina delle galere (di qui galera per carcere), cioè nel fondo della stiva dove le acque circolano e stagnano; costoro, quindi, erano sempre a…. bagno.
La sentina, cioè la fogna delle galere, sarà bene precisarlo, trae il nome, secondo alcuni studiosi di lingua, dal… latino sentina, connesso a sentis, ovverosia a spina perché fatta, per l’appunto, a spina di pesce. Con il trascorrere del tempo si chiamarono bagni penali tutti i luoghi o edifici dove erano rinchiusi i condannati ai lavori forzati.
Nel nostro Paese esistevano fino al 1891 – anno in cui mutarono il nome in ergastolo o casa di reclusione – i bagni di Porto Santo Stefano e di Alghero. Famosi i bagni di Livorno, situati nel mastio della Fortezza Vecchia, in parte sotto il livello del mare (quindi a bagno), dove erano alloggiati gli schiavi turchi.
La sindèresi è un prestito del linguaggio filosofico e significa capacità di connettere. Citiamo dal DELI: «Nella filosofia medievale facoltà per cui è possibile distinguere il bene dal male (…). Viene dal greco syntèresis (vigilanza), un derivato di synterèin [custodire (nel proprio io)], quindi buonsenso, discernimento».
In senso figurato, per tanto, perdere la sindèresi significa perdere la bussola, il controllo dell’io, il senno, proprio come capitò all’avo del giovane Peppino: perse la sindèresi impaurendo un amico che si gettò da una rupe.
Voi, amici che ci seguite e amate la buona lingua, non perdete la sindèresi, vale a dire la ragione, il senno, quando scrivete (o parlate) anche se – grazie a Dio – per gli orrori sintattico-grammaticali la norma linguistica non commina i… bagni penali.
Se così fosse non basterebbero le patrie galere per accogliere i tantissimi pennaioli che quotidianamente calpestano l’idioma di Dante e di Manzoni.

09-04-2010 — Autore: Fausto Raso