Al cardiopalma? No, al cardiopalmo

Molti linguisti – siamo certi – dissentiranno su quanto stiamo per scrivere; la cosa, però, non ci preoccupa più di tanto in quanto siamo sicuri della bontà della nostra tesi a proposito della frequenza dei battiti cardiaci. E ci spieghiamo.
Le cronache sportive dei giornali e delle radiotelevisioni vogliono a tutti costi farci convivere con un sostantivo che a nostro giudizio è errato: cardiopalma.
A nostro avviso (checché ne dicano i soliti vocabolari permissivi) si deve dire cardiopalmo (con tanto di o finale) perché questo sostantivo che indica – come abbiamo visto – la frequenza dei battiti cardiaci è di provenienza greca essendo composto con καρδία, (kardìa, cuore) e παλμός (palmòs, battito), derivato di πάλλειν (pàllein, agitare). La a finale, quindi, (cardiopalma) non trova una giustificazione dal punto di vista prettamente etimologico.
Il cardiopalmo, dunque, nel linguaggio medico, è lo stesso che palpitazione, vale a dire percezione soggettiva del battito cardiaco, di solito accelerato: fenomeno che occorre nelle più varie condizioni fisiologiche e patologiche e in genere quando vi è tachicardia. Non si dice, infatti, far venire il cardiopalmo? La forma errata, dunque (cardiopalma), e divenuta di uso comune, potrebbe esser nata dal fatto che la frequenza dei battiti cardiaci mette in uno stato di agitazione che provoca un tremore della palma, cioè della parte interna della mano.
È incontrovertibile, del resto, il fatto che il palmòs greco non ha nulla in comune con la palma (della mano) latina. Per quanto ci riguarda, quindi, diciamo e scriviamo, sempre, cardiopalmo (con la o) e bolliamo come eretici linguistici coloro – le così dette grandi firme, soprattutto – che, trincerandosi dietro il luogo comune secondo il quale l'uso fa la lingua, insistono superbamente nell'adoperare la forma scorretta.

18-06-2010 — Autore: Fausto Raso