Non avere nulla che vedere...

Ciò che avete letto, di primo acchito, può colpire la vostra attenzione perché sembra che manchi una a; non è così, la frase è tecnicamente corretta, vale a dire rispetta totalmente le norme che regolano la nostra lingua. Non lo sosteniamo noi (signor nessuno), ma l'illustre linguista Aldo Gabrielli. Vediamo, dunque.
Leggiamo a volte Questo non ha niente a che fare con questo, ma anche non ha niente che fare con questo. Quale delle due è la forma corretta? Senza dubbio la seconda, sebbene sia oggi la meno usata (alcune grandi firme del giornalismo la considerano – non sappiamo con quale autorità – addirittura errata).
Questo infinito in proposizioni relative dipendenti è d'uso antico, che risale addirittura alle origini della lingua. Non sapeva che dirsi, leggiamo in Boccaccio; e anche oggi diciamo non so che dire, che fare. Quel che, uguale a che cosa, è un normale complemento oggetto.
Altri modi analoghi sono per esempio non c'è che dire, o c'era che vedere e che ascoltare, come leggiamo nel Verga. L'espressione era dunque all'origine avere o non avere che fare; e infatti leggiamo un esempio nelle Cene del Grazzini detto il Lasca (secolo XVI): «Che hai tu che fare con cotesto villano?» e nel Manzoni (qualche grande firma ha il coraggio di mettere in discussione l'autorità di un simile scrittore?), al capitolo XV: «Mi lascino andare ora… io non ho che far nulla con la giustizia»; e poco più sotto: «Ma io non ci voglio andare dal capitano di giustizia. Non ho che fare con lui».
Come sarà sbucato fuori quell'a modificando la frase in a che fare? Certamente da un incrocio del modo tutto toscano ho a fare (fuor di Toscana ho da fare) con ho che fare. Gli avverbi niente o nulla sono semplici aggiunte rafforzative.
Consiglierei pertanto di attenersi alla forma antica; e di dire, analogamente, non ho nulla che vedere in questa faccenda, non ho mai avuto che dire con lui, meglio di a che vedere e a che dire.

04-10-2010 — Autore: Fausto Raso