L'avverbio

Abbiamo notato che molte persone sono convinte che l’avverbio (come dice il termine latino ad verbum) si mette sempre vicino al verbo. No, non è così.
Questa parte invariabile del discorso che serve per modificare, graduare, precisare il significato o l’azione espressa dal verbo si può mettere vicino anche a un altro avverbio, a un aggettivo o a un nome. Quando diciamo, per esempio, che Paolo camminava lentamente precisiamo l’azione espressa dal verbo camminare; lentamente, per tanto, è un avverbio.
E a proposito di lentamente, vi siete mai chiesto il motivo per cui la maggior parte degli avverbi, particolarmente quelli di modo, finiscono in -mente? Donde deriva questa terminazione? Dal latino, come sempre.
Nella lingua dei nostri antenati latini era diffusissimo l’uso del complemento di modo formato con il sostantivo mente (ablativo di mens, mentis), che significa animo, cuore, mente, spirito e simili, preceduto da un aggettivo: serena mente (con animo sincero, sereno).
Poiché la disposizione era sempre la medesima, prima l’aggettivo, poi il sostantivo, i due termini finirono con l’essere pronunciati e scritti uniti (una sorta di univerbazione, insomma) assolvendo la funzione di avverbio di modo. Con questo sistema tutti gli aggettivi possono essere trasformati in avverbi di modo o maniera. Come?
Semplicissimo: si prende l’aggettivo, nella forma femminile, e si aggiunge il suffisso -mente. Da onesto avremo, quindi, il femminile onesta a cui aggiungeremo il suffisso -mente (onesta-mente): onestamente; da bello, bellamente; da magnifico, magnificamente; da stupido, stupidamente.
Va da sé che gli aggettivi della II classe, cioè quelli che finiscono in -e sia per il maschile sia per il femminile, non abbisognano di essere femminilizzati per avverbiarli; basta solo aggiungere il suffisso -mente: grande, grandemente; veloce, velocemente.
Da notare, però, che gli aggettivi che terminano in -le perdono la e finale prima di aggiungere il suffisso (-mente): facilmente (facile, facil, facilmente); docilmente; difficilmente. Un’ultima annotazione sul corretto uso degli avverbi.
Molte persone – complici alcuni vocabolari permissivi – fanno precedere gli avverbi che finiscono in -oni (-one) dalla preposizione a: Mario camminava a tentoni; Luigi stava a cavalcioni.
Quella a, a nostro modo di vedere, è spudoratamente errata. Da quando gli avverbi per reggersi hanno bisogno di una preposizione? Diciamo, forse, camminare a lentamente? Perché, dunque, alcuni vocabolari ammettono a tentoni, a cavalcioni ecc? E perché le così dette grandi firme seguono i consigli spallati di questi dizionari?
Per finire: qual è, generalmente, la posizione dell’avverbio? Quella vicino alla parola cui si riferisce. Di solito si colloca prima dell’aggettivo e dopo il verbo. Non c’è una legge, la posizione è libera. Si può mettere prima o dopo la parola che si vuole modificare, a seconda della sfumatura: presto verrò; verrò presto.

15-11-2010 — Autore: Fausto Raso