Omografe e omofone (parole)

La nostralingua è ricca di parole omofone (stesso suono) e omografe (stessa grafia). Vediamo, succintamente, la differenza.
Le parole omofone sono dette anche omonime perché oltre ad avere il medesimo suono hanno anche lo stesso nome (la bugia, per esempio: candeliere e menzogna); quelle omografe, invece, hanno la medesima grafia ma il suono, cioè la pronuncia, non sempre uguale. Legge, norma e lègge, dal verbo leggere, per esempio, sono omografe ma non omofone. Le parole omofone, quindi, sono sempre omografe; queste ultime invece, non necessariamente sono anche omofone. E quanto alle omofone (o omonime) c’è da dire che nella stragrande maggioranza dei casi provengono da due termini diversi che hanno finito con il coincidere per l’evoluzione storica del linguaggio.
Vediamo, in proposito, qualche esempio: la lira, moneta, viene dal latino libra(m), mentre la lira, strumento musicale, da lyra(m); il miglio, la pianta, ha origine da miliu(m), il miglio, la misura da milia.
Ancora: la fiera, belva, da fera(m), fiera, mercato, da feria(m); botte, recipiente, da butta(m) (‘piccolo vaso’), botte, percosse, dal francese antico boter (percuotere).
Sarà bene, per tanto, accentare le parole omonime che possono generare equivoci: balia e balìa; regia e regìa; ambito e ambìto; subito e subìto; ancora e àncora; decade e decàde e via dicendo. L’accento che si adopera in questi casi si chiama fonico perché fa cambiare, appunto, il suono alle parole che hanno il medesimo nome.
Un accento, diceva un grande linguista, «se al posto giusto non ha mai fatto male a nessuno».

09-02-2013 — Autore: Fausto Raso