La tassonomia

Si tranquillizzino i cortesi lettori, non abbiamo intenzione alcuna di angosciarvi trattando di tasse o della legge finanziaria, per questo bastano i vari radiotelegiornali che, implacabili, entrano nelle nostre case proprio quando avremmo un gran bisogno di rilassarci dopo una giornata faticosa, seduti davanti a una tavola imbandita a gustarci un buon piatto. No, state tranquilli.
Vogliamo parlarvi di un argomento che non tutti i sacri testi grammaticali riportano — essendo riservato agli addetti ai lavori — che va sotto il nome di tassonomia (Dizionari Repubblica.it - tassonomia) e che, ripetiamo, non ha nulla che vedere con le tasse.
La tassonomia, dunque, è quella branca della linguistica che si occupa del genere dei sostantivi in base alla loro appartenenza a questo o a quel settore delle classificazioni  delle nozioni comuni, in assenza di ogni riferimento a un genere reale: non c’è un motivo che potremmo definire logico per cui, ad esempio, i sostantivi oro e mano debbano essere di genere, rispettivamente, maschile e femminile, se non il fatto che il primo proviene dal neutro latino aurum e il secondo ha conservato il medesimo genere che aveva in latino.
Insomma, il genere vero e proprio dei sostantivi non è motivato in quanto corrispondente al sesso; occorre distinguere, quindi, il genere vero, reale da quello grammaticale, dovuto a una convenienza e privo, per tanto, di corrispondenza nel mondo extralinguistico.
Premesso ciò, solo l’uso e la tradizione linguistica, e non già una loro ipotetica femminilità o mascolinità stabiliscono, per esempio, che siano di genere femminile  tavola, fede, conchiglia e maschili, invece, teorema, vestito, orologio, indice. Come si può notare facilmente, quindi, non sempre le desinenze permettono di stabilire la sessualità del sostantivo.
E qui interviene, appunto, la  tassonomia, ossia — come dicevamo — l’appartenenza del nome a quel settore delle classificazioni e delle nozioni di uso comune. In base a questa classificazione tendono a collocarsi nel genere femminile i nomi dei frutti: la mela; la banana; la pesca; la ciliegia ecc. Al genere femminile dei frutti corrisponde, solitamente, il genere maschile dell’albero dal quale provengono: il melo; il pero e via discorrendo. Fanno eccezione i nomi dei frutti esotici che sono, per lo più, maschili: il mango; il cachi; l’ananas; l’avocado.
Si collocano, altresì, al genere femminile, prevalentemente, i nomi di isole, di città, di regioni, di stati, di continenti: la Sicilia; l’Africa; la Francia; la Torino; la Cosenza. A questo proposito è interessante notare il fatto che anticamente la sessualità delle città era determinata dalle desinenze: maschili le città il cui nome finiva in -o (il Palermo; il Torino; il Catanzaro); femminili le città che terminavano in -a (la Venezia; la Roma; la Genova). Non  mancano, in proposito, esempi letterari di grandi, ne citiamo uno per tutti, Alessandro Manzoni: «In un Milano, bisogna dirla, c’è ancor del timore di Dio» (Promessi Sposi, XVI, 48). E le città che finiscono in -i? Il mio Napoli o la mia Napoli?
Ecco, dunque, l’importanza della tassonomia. Si è stabilito che tutte le città, naturalmente con le dovute eccezioni (vedi Il Cairo), siano di genere femminile in quanto si sottintende che il nome della città sia preceduto dal sostantivo città: la (città di) Napoli; la (città di) Firenze; la Cuneo; la Ferrara.
L’argomento, gentili amici, è molto più vasto e non si può esaurire in poche righe. Questo è solo un “assaggio”. Ne riparleremo.

15-11-2014 — Autore: Fausto Raso