Leggi che inasprano...

Vi scrive Romualdo V. da Cesena: «Gentilissimo dr Raso, facendo affidamento sulla sua “proverbiale” squisitezza la disturbo per un quesito che mi sta molto a cuore: il verbo “inasprire” si deve necessariamente coniugare con la forma in “-sco”? Su un giornalino della mia città ho letto una frase che mi ha lasciato di stucco: “Occorre varare delle leggi che inasprano le pene per i reati più gravi”. E’ corretto quell’“inasprano”? Non si dice “inaspriscano”? Ho consultato tutti i libri in mio possesso ma non ho trovato risposta. Grazie della sua attenzione».

Cortese amico, ritengo sia un errore del giornalista perché non credo che l’articolista sapesse che un tempo il verbo in oggetto si coniugava senza l’infisso -sco-: io inaspro (dal verbo antico inasprare, lo stesso che inasprire).
Oggi la forma non incoativa, quella coniugata con il verbo inasprare, è decisamente da evitare (anzi, alcuni linguisti la considerano errata) in uno scritto sostenuto perché il verbo corretto è inasprire.
Fino a qualche secolo fa, però, era normale e adoperata da molti Autori, tra i quali Gabriele D'Annunzio (come potrà vedere nei collegamenti in calce) e lemmata nel Vocabolario degli accademici della Crusca.
Il giornalista, insomma, sbagliando non ha... sbagliato, ha adoperato, inconsapevolmente, una forma desueta del verbo in questione.

Vocabolario della lingua italiana già compilato dagli accademici della Crusca — Pagina 1647
Alcyone, Volume 7 — Pagina 393
Giambattista Basile, Volume 8 — Pagina 46
Lingua nostra, Volumi 17-18 — Pagina 47
Il fiore delle lettere italiane: Dall'inizio del Cinquecento alla fine del ... — Pagina 794
Manuale della letteratura italiana — Pagina 641
Raccolta di novellieri italiani, Parte 2 — Pagina 1768
La Letteratura italiana? — Pagina 261

09-02-2016 — Autore: Fausto Raso