Non si impara a parlare e a scrivere se non si legge: il caso delle matricole

Meglio tardi che mai. Sembra che ci si accorga soltanto ora che le parole in corso sono sempre di meno in bocca ai parlanti. Ci si lamenta che all’Università le matricole non capiscono più quel che il professore dice loro. Conoscono poche parole, e sempre meno. Fatto sta che a Torino, Facoltà di Medicina, si è deciso di far partire un corso di alfabetizzazione, un corso di lingua italiana. Ma non si tratterà, credo, di insegnare le parole, quanto di mostrare che cos’è un testo, e la sintassi che regge la frase, lo scheletro e la logica di quel che si dice e si argomenta. I giovani non sanno più articolare una tesi di laurea.
Sembra che arrivino vergini, che non abbiano fatto nulla in precedenza, scaldato dei banchi o tutto dimenticato. Eppure la scuola ha continuato a fare quello che poteva per l’insegnamento della lingua italiana. Che abbia forse prodotto dei guasti la riduzione dell’insegnamento a sola grammatica, a pura abilità tecnica e funzionale? Non ha tardato a farsi sentire l’effetto di semplificazione eccessiva della densità storica di una lingua, del suo spessore direi esistenziale.
Dopo anni di impegno e di sperimentazioni glottodidattiche, la capacità di costruire e comunicare discorsi scritti e orali da parte dei giovani è disperatamente ancor più carente. Penso che uno dei motivi è il calo della lettura, la lettura ampia e continuata di testi, di giornali come di romanzi o saggi. Le chat nutrono poco; anzi, nulla. Le ore eccessive davanti allo schermo istupidiscono. A Medicina hanno difficoltà a introdurre l’italiano scientifico ai futuri medici. Eppure questi dovranno pure parlare ai pazienti, non solo prescrivere farmaci.
L’azienda Italia sembra che marci quando aumenta il numero di telefonini (siamo tra i blateratori via etere i primi in Europa), quando sempre più gente fa vacanze alle Maldive, quanto più si costruiscono ponti autostrade e cavalcavia. In realtà si arretra.
Uno studio dell’Ocse di tre anni fa ha dimostrato che gli studenti italiani sono drammaticamente arretrati rispetto alla media europea quanto alla comprensione di un testo. Non è possibile imparare a parlare e a scrivere con proprietà se non si legge. Certo, l’italiano è una lingua difficile. Vi coesistono e vi s’intersecano più «lingue» parallele: un italiano parlato e un italiano scritto, un italiano della conversazione quotidiana e uno della comunicazione formale, e i vari italiani regionali, specialistici, settoriali. Per chi ci sa fare, se ne possono articolare gli ingredienti in una miscela straordinariamente ricca ed efficace. Ma la stragrande maggioranza, oggi, più che padrona, o è vittima di questa macchina complicata, oppure non sa che manovrarne qualche leva elementare.

26-02-2016 — Autore: Gian Luigi Beccaria