Diminutivi

Un lettore ci scrive: «Però, anche tra -ino" e "-etto"; tra "-ina" e "-etta" quando, come diminutivi, si usano entrambi, c'è una differenza. Al bambino: "mettiti la scarpina": Cenerentola ha perduto una scarpetta lungo la scalinata; alla colf: "Compra anche una scatoletta di tonno"; alla sartina: "Gli spilli riponili sempre nella loro scatolina"; "poverino", bel bambino, ti hanno rubato le caramelle! "poveretto", chiede l'elemosina. Una faccina "rosa" piena di salute. La faccetta è "nera"? Qui c'è il dubbio! (Firma)»

Gentile lettore, abbiamo l’impressione che ci sia un po’ di confusione a proposito dell’alterazione dei sostantivi (e degli aggettivi), in particolare dei diminutivi. Il suffisso -etto (di origine incerta) ha per lo più valore vezzeggiativo ed esprime affetto, gentilezza, simpatia, cordialità, a seconda dei casi: libro/libretto, maglia/maglietta, fanciulla/fanciulletta.
Il suffisso -ino (dal suffisso aggettivale latino -inus, passato e diminutivo) è il principe dei diminutivi, vale a dire il più comune essendo largamente presente nel linguaggio infantile: grande/grandino, letto/lettino.
Nella lingua parlata produce alterazione, con valore attenuativo, in alcuni avverbi: presto/prestino, tardi/tardino, poco/pochino. Essendo il più adoperato si ritrova anche nelle varianti -(i)cino e -olino: campione/campioncino, osso/ossicino, fresco/ frescolino.

31-05-2016 — Autore: Fausto Raso