Crack? Dipende...

Stia tranquillo, cortese lettore Camillo di Rieti, la sola grafia corretta per indicare un fallimento finanziario, il crollo di un titolo in Borsa è crac non, come sosteneva il docente di suo figlio, crack. Alcuni, e tra questi — probabilmente — l’insegnante del suo figliolo, ritengono che il termine atto a indicare un fallimento, una grave perdita finanziaria e simili sia crack in quanto derivato dal verbo inglese to crack che significa rompere, schiantare, crollare.
La voce sarebbe, a loro avviso, la riproduzione onomatopeica del suono che fa un oggetto quando si rompe, si spezza; sarebbe, insomma, il classico crac. Ed eccoci , per l’appunto, al nocciolo della questione: crac, termine italianissimo e registrato in tutti i vocabolari con la V maiuscola.
Il bello sta nel fatto che neanche gl’inglesi dicono crack bensì Krach, dalla voce tedesca coniata in seguito al crollo bancario avvenuto a Vienna il 9 maggio 1873. Lasciamo, dunque, l’inglese crack, se proprio vogliamo essere anglofili a tutti i costi, solo per indicare nel gergo ippico un cavallo fuori classe, un campione, un equino famosissimo.
To crack, infatti, è un verbo dai moltissimi significati, tra cui anche quello di vantarsi; il crack, per tanto, è un cavallo vanto di una scuderia, il fiore all’occhiello di un maneggio, vale a dire un campione. Però, anche in questo caso, potremmo sostituire la voce barbara crack con il nostro italianissimo campione: quel cavallo è un vero campione.
Per quanto attiene al crollo finanziario, si rassicuri ancora, cortese amico, suo figlio non ha sbagliato, nella nostra lingua c’è solo il crac. Non vorremmo, un giorno, vedere un bel crack (un cavallo famoso, un campione) presentarsi in Borsa per farsi quotare a un prezzo degno del suo valore.

09-06-2016 — Autore: Fausto Raso