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Amadeo Bordiga
(✶1889 †1970)
Dalla guida del PCd'I all'emarginazione
Sotto la guida carismatica di Bordiga, il Partito Comunista d'Italia si avviò ad essere un organismo assai dissimile dagli altri partiti che avevano aderito all'Internazionale. La composizione prettamente operaia non aveva prodotto la solita gerarchia interna piramidale con al vertice gli intellettuali. D'altra parte, la pur rigorosa disciplina interna non si fondava tanto su disposizioni statutarie, quanto sul programma e su quello che proprio in quel periodo si stava configurando come "centralismo organico". Questo particolare assetto "naturale" fu spiegato e rivendicato già dal 1921 come elemento distintivo della Sinistra Comunista "italiana". In un articolo dello stesso anno, Bordiga chiarisce che il partito rivoluzionario si caratterizza per il fatto di essere già il progetto, la base fondante della società futura e da questa deriva la sua specifica natura e struttura, mentre rigetta ogni meccanismo interno mutuato dalla società presente.
Bordiga fu eletto nel Comitato centrale del Pcd'I e vi rimase fino al suo arresto nel 1923. Nel giugno egli e gli altri dirigenti arrestati vennero sostituiti alla direzione del partito per ordini di Mosca. Assolto al processo, rifiutò di entrare nel comitato esecutivo. Nel 1926 partecipò al Congresso clandestino di Lione, dove la Sinistra fu messa in minoranza dai centristi allineati a Mosca (Gramsci, Togliatti, Terracini, tra gli altri, si erano schierati con il campo che si stava delineando come stalinista) con vari espedienti, nonostante disponesse ancora della stragrande maggioranza dei voti congressuali.
Subito dopo il Congresso di Lione, in cui furono presentate le ultime tesi che la Sinistra Comunista poté scrivere in difesa dell'Internazionale, Bordiga partecipò al VI Esecutivo allargato dell'IC, dove tentò per l'ultima volta di intervenire in difesa dei principii fondanti di quello che doveva essere il partito mondiale. Nello stesso anno fu arrestato e inviato al confino nell'isola di Ustica, dove con Gramsci contribuì a organizzare la vita dei prigionieri, tra i quali Giuseppe Scalarini e i fratelli Rosselli. Al rilascio fu sempre più emarginato dall'attività politica finché il 20 marzo 1930 venne espulso per aver difeso Lev Trotsky nonostante le divergenze con lui. Per diversi anni non poté più svolgere politica attiva, controllato notte e giorno dalla polizia fascista.
Il rapporto con Gramsci
Bordiga aveva un rapporto quasi paterno e protettivo nei confronti del giovane Gramsci, fisicamente poco adatto alla dura lotta politica del tempo, in ambiente di guerra civile. Cercava di assecondare come poteva "il suo lento evolvere dall'idealismo filosofico al marxismo". Gli fu amico anche nei momenti di dura polemica.
Quando il gruppo gramsciano si avvicinò alla Sinistra, reputò "leale" il titolo della sua rivista, che non parlava di Classe, Stato e Società come facevano i comunisti, ma genericamente di "Ordine Nuovo". Bordiga scherzava sulla concezione antideterministica di Gramsci, che ancora nel 1919 interpretava la Rivoluzione d'ottobre come una specie di "miracolo della volontà umana", contro ogni determinismo delle reali condizioni economiche e politiche della Russia: "Solo a rilento Gramsci accettò le direttive marxiste sulla dittatura del partito e sulla stessa incidenza del sistema marxista, fuori dell'economia di fabbrica, in una visione radicale di tutti i rapporti di fatti nel mondo umano e naturale". Quando poi conobbe Lenin, racconta ancora Bordiga, "la cosa non restò senza effetto; maestro ed allievo non erano da dozzina".
Gramsci ammetteva di non accettare tutto del marxismo e di maturare lentamente, tanto che rispose a tono: "Preferiremo sempre quelli che imparano lentamente capitoli del marxismo a quelli che li dimenticano". Ma ancora nel 1926, in margine al Congresso di Lione, quando ormai la Sinistra era liquidata, a una precisa affermazione di Bordiga, che ormai considerava un avversario da rimuovere, rispose: "Do atto alla sinistra di avere finalmente acquisita e condivisa la sua tesi, che l'aderire al comunismo non comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad un'azione politica, ma una visione ben definita, e distinta da tutte le altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale".
Alla fine del 1926, nel confino di Ustica, nel quale si trovarono insieme per qualche tempo, Bordiga e Gramsci organizzarono una "scuola di partito" per prigionieri dove nessuna "materia" era esclusa. Di comune accordo, tenevano a turno "lezioni" in cui l'uno esponeva la materia secondo le tesi dell'altro, scherzando alla fine sul confronto delle eventuali manchevolezze di ognuno (Le citazioni in corsivo sono memorie di Bordiga).
Il secondo dopoguerra
In seguito allo sbarco alleato e allo spostamento al Nord del fronte di guerra nel 1944, intorno a Bordiga si raccolsero i vecchi compagni del 1921. Con la guerra ancora in corso, furono presi contatti clandestini con i compagni del Nord. Nell'immediato dopoguerra vi furono le prime riunioni congiunte, ma Bordiga rifiutò di far parte del partito se fosse rinato nuovamente sulle basi della vecchia Internazionale degenerata. Iniziò quindi a collaborare al periodico "Battaglia Comunista" (1945), organo del neo-costituito Partito Comunista Internazionalista.
All'uscita della rivista Prometeo (1946), organo teorico dello stesso partito, scrisse sul primo numero un Tracciato d'impostazione che doveva servire da riferimento programmatico. Nel 1949 iniziò a scrivere la serie di 136 articoli Sul filo del tempo, tesa a dimostrare la necessaria continuità fra le origini del movimento comunista e i compiti attuali. Sulla base di tale impostazione teorica scrisse una gran mole di articoli e saggi tendenti a dimostrare che l'URSS era da considerarsi un paese capitalista impegnato in un "industrialismo di stato". Questa posizione lo poneva in irriducibile contrasto con lo stalinismo e il togliattismo, che sostenevano invece l'idea che in Russia si stesse "costruendo il socialismo in un paese solo".
Dal 1945 partecipò, alquanto dall'esterno, all'organizzazione del Partito Comunista Internazionalista. Affermò di non voler essere presente ad alcun convegno o congresso per non influenzare con il suo carisma ancora integro lo schieramento dei militanti (disse di non aver problemi a "militare", come stava facendo, ma non voleva assolutamente "generalare"). Alcuni articoli come Bussole impazzite furono scritti contro la confusione che regnava nel giovane partito, come anche l'abbozzo di tesi Natura funzione e tattica del partito rivoluzionario. Nel 1951 preparò con un certo numero di compagni di partito le Tesi caratteristiche sulle quali si consumò la scissione dalla tendenza che aveva come principale esponente Onorato Damen. Da allora l'attività pubblicistica di Bordiga proseguì in forma anonima sul periodico Il programma comunista che divenne l'organo di stampa di un nuovo "Partito Comunista Internazionalista", che in seguito a un'ulteriore scissione, avvenuta nel 1964, acquisirà la denominazione di Partito Comunista Internazionale.
Il nuovo organismo si basava sul "centralismo organico", già rivendicato negli anni venti, e ora più significativo che mai, nel senso di un rifiuto del modello organizzativo della Terza Internazionale ("centralismo democratico"). Continuava comunque a denunciare "da sinistra" l'Unione Sovietica, rimanendo fedele al marxismo e a Lenin, criticando e denunciando lo stalinismo come corollario orientale degli Stati Uniti nella controrivoluzione mondiale.
Nel 1964-66 fissò in ulteriori tesi quelle che avrebbero dovuto essere le basi storiche e organizzative del partito rivoluzionario, coadiuvate dall'intenso lavoro di "difesa del programma" e di "restaurazione teorica" iniziato nell'immediato dopoguerra. Nel 1969 fu colpito da una trombosi che lo rese semiparalizzato. Ciò non gli impedì di rilasciare una lunga intervista, nel giugno 1970, un mese prima di morire, quasi un testamento politico. Morì il 25 luglio del 1970.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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