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Antonio Gramsci
(✶1891 †1937)
«Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini»
(Antonio Gramsci, lettera alla madre, 10 maggio 1928)
Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) è stato un politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario italiano.
Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia e nel 1926 venne incarcerato dal regime fascista nel carcere di Turi. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita.
È considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo. Nei suoi scritti, tra i più originali della tradizione filosofica marxista, Gramsci analizzò la struttura culturale e politica della società. Elaborò in particolare il concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle subalterne.
Origini familiari
Gli antenati paterni di Antonio Gramsci erano originari della città di Gramsh in Albania, e potrebbero essere giunti in Italia fin dal XV secolo, durante la diaspora albanese causata dall'invasione turca. Documenti d'archivio attestano che nel Settecento il trisavolo Gennaro Gramsci, sposato con Domenica Blajotta, possedeva a Plataci, comunità arbëreshë del distretto di Castrovillari, delle terre poi ereditate da Nicola Gramsci (1769-1824). Questi sposò Maria Francesca Fabbricatore, e dal loro matrimonio nacque a Plataci Gennaro Gramsci (1812-1873), che intraprese la carriera militare nella gendarmeria del Regno di Napoli e, quando era di stanza a Gaeta, sposò Teresa Gonzales, figlia di un avvocato napoletano di origini spagnole. Il loro secondo figlio fu Francesco (1860-1937), il padre di Antonio Gramsci.Le lontane origini albanesi erano conosciute dallo stesso Antonio Gramsci, che tuttavia le immaginava più recenti, come scriverà alla cognata Tatiana Schucht dal carcere di Turi, il 12 ottobre del 1931:
«[...] io stesso non ho alcuna razza; mio padre è di origine albanese (la famiglia scappò dall'Epiro durante la guerra del 1821, ma si italianizzò rapidamente). Tuttavia la mia cultura è italiana, fondamentalmente questo è il mio mondo; non mi sono mai accorto di essere dilaniato tra due mondi. L'essere io oriundo albanese non fu messo in giuoco perché anche Crispi era albanese, educato in un collegio albanese.»
Francesco era studente in legge quando morì il padre; dovendo trovare subito un lavoro, nel 1881 partì per la Sardegna per impiegarsi nell'Ufficio del registro di Ghilarza. In questo paese, che allora contava circa 2.200 abitanti, conobbe Giuseppina Marcias (1861-1932), figlia di un esattore delle imposte e proprietario di alcune terre. La sposò nel 1883, malgrado l'opposizione dei genitori, rimasti in Campania, che consideravano i Marcias una famiglia di rango inferiore alla propria dal punto di vista sociale e culturale: Giuseppina aveva studiato fino alla terza elementare. Dal matrimonio nascerà Gennaro (1884-1965) e, dopo che l'ufficio fu trasferito da Ghilarza ad Ales, Grazietta (1887-1962), Emma (1889-1920) e, il 22 gennaio 1891, Antonio, battezzato il 29 gennaio.
L'anno dopo la famiglia si trasferì a Sorgono, il paese di cui la madre era originaria, e qui nacquero gli altri figli, Mario (1893-1945), Teresina (1895-1976) e Carlo (1897-1968). Antonio, a due anni, si ammalò del morbo di Pott, una tubercolosi ossea che in pochi anni gli deformò la colonna vertebrale e gli impedì una normale crescita: adulto, Gramsci non supererà il metro e mezzo di altezza; i genitori pensavano che la sua deformità fosse la conseguenza di una caduta e anche Antonio rimase convinto di quella spiegazione. Ebbe sempre una salute delicata: a quattro anni, soffrendo di emorragie e convulsioni, fu dato per spacciato dai medici, tanto che la madre comprò la bara e il vestito per la sepoltura.
Il padre Francesco fu arrestato il 9 agosto 1898, con l'accusa di peculato, concussione e falsità in atti, e il 27 ottobre 1900 venne condannato al minimo della pena con l'attenuante del «lieve valore»: 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta; priva del sostegno dello stipendio del padre, la famiglia Gramsci trascorse anni di estrema miseria, che la madre affrontò vendendo la sua parte di eredità, tenendo a pensione il veterinario del paese e guadagnando qualche soldo cucendo camicie.
I primi studi
Proprio per le sue delicate condizioni di salute Antonio cominciò a frequentare la scuola elementare soltanto a sette anni: la concluse nel 1903 con il massimo dei voti, ma la situazione familiare non gli permise di iscriversi al ginnasio. Già dall'estate precedente aveva iniziato a dare il suo contributo all'economia domestica lavorando 10 ore al giorno nell'Ufficio del catasto di Ghilarza per 9 lire al mese - l'equivalente di un chilo di pane al giorno - smuovendo «registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo».Il 31 gennaio 1904 Francesco Gramsci, grazie a un'amnistia, anticipò di tre mesi la fine della sua pena: inizialmente guadagnò qualcosa come segretario in un'assicurazione agricola, poi, riabilitato, fece il patrocinante in conciliatura e infine fu riassunto come scrivano nel vecchio Ufficio del catasto, dove lavorò per il resto della sua vita. Così, pur affrontando gli abituali sacrifici, i genitori poterono iscrivere il quindicenne Antonio nel Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu, a 18 chilometri da Ghilarza, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi».
Con tale preparazione un poco avventurosa, riuscì tuttavia a prendere la licenza ginnasiale a Oristano nell'estate del 1908 e a iscriversi al Liceo Dettori di Cagliari, stando a pensione, prima in un appartamento in via Principe Amedeo 24, poi, l'anno dopo, in corso Vittorio Emanuele 149, insieme con il fratello Gennaro, il quale, terminato il servizio di leva a Torino, lavorava per cento lire al mese in una fabbrica di ghiaccio del capoluogo sardo.
La modesta preparazione ricevuta nel ginnasio si fece sentire, perché inizialmente Gramsci nelle diverse materie ottenne appena la sufficienza, ma riuscì a recuperare in fretta: del resto, leggere e studiare erano i suoi impegni costanti. Non si concedeva distrazioni, non soltanto perché avrebbe potuto permettersele solo con grandi sacrifici, ma anche perché l'unico vestito che possedeva, per lo più liso, non lo incoraggiava a frequentare né gli amici, né i locali pubblici.
Il fratello Gennaro, che era tornato in Sardegna militante socialista, ai primi del 1911 divenne cassiere della Camera del lavoro e segretario della sezione socialista di Cagliari: «Una grande quantità di materiale propagandistico, libri, giornali, opuscoli, finiva a casa. Nino, che il più delle volte passava le sere chiuso in casa senza neanche un'uscita di pochi momenti, ci metteva poco a leggere quei libri e quei giornali» Leggeva anche i romanzi popolari di Carolina Invernizio, di Anton Giulio Barrili e quelli di Grazia Deledda, ma questi ultimi non li apprezzava, considerando folkloristica la visione che della Sardegna aveva la scrittrice sarda; leggeva Il Marzocco e La Voce di Giuseppe Prezzolini, Papini, Emilio Cecchi «ma in cima alle sue raccomandazioni, quando mi chiedeva di ritagliare gli articoli e di custodirli nella cartella, stavano sempre Croce e Salvemini».
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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