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Antonio Gramsci
(✶1891 †1937)
Deputato al Parlamento
Alle elezioni del 6 aprile venne eletto deputato al parlamento, potendo così rientrare a Roma, protetto dall'immunità parlamentare, il 12 maggio 1924. Quello stesso mese, nei dintorni di Como, si tenne un convegno illegale dei dirigenti delle Federazioni comuniste italiane: pubblicamente, si fingevano dipendenti di un'azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti e inni a Mussolini, mentre, a parte, discutevano dei problemi del partito.Nel convegno si affrontò il «caso Bordiga», il quale aveva rifiutato la candidatura al Parlamento, era in rotta con la maggioranza dell'Internazionale e rifiutava ogni azione politica comune con le altre forze politiche di sinistra. Delle tre mozioni presentate, che rispecchiavano le tre correnti in seno al Partito, la corrente di destra di Tasca, di centro di Gramsci e Togliatti, e di sinistra di Bordiga, questa raccolse l'adesione della grande maggioranza dei delegati, confermando la notevole importanza di cui il rivoluzionario napoletano godeva nel Partito.
Il 10 giugno un gruppo di fascisti rapì e uccise il deputato socialista Giacomo Matteotti; sembrò allora che il fascismo stesse per crollare per l'indignazione morale che in quei giorni percorse il Paese, ma non fu così; l'opposizione parlamentare scelse la linea sterile di abbandonare il Parlamento, dando luogo alla cosiddetta Secessione dell'Aventino: i liberali speravano in un appoggio della Corona, che non venne, i cattolici erano ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e questi ultimi erano ostili a tutti, comunisti compresi. Gramsci avanzò al «Comitato dei sedici» - il nucleo dirigente dei gruppi aventiniani - la proposta di proclamare lo sciopero generale che però fu respinta; i comunisti uscirono allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione».
Malgrado le divisioni dell'opposizione antifascista, Gramsci credeva che la caduta del regime fosse imminente: «Il regime fascista muore perché non solo non è riuscito ad arrestare, ma anzi ha contribuito ad accelerare la crisi delle classi medie iniziatasi dopo la guerra. L'aspetto economico di questa crisi consiste nella rovina della piccola e media azienda [...] il monopolio del credito, il regime fiscale, la legislazione sugli affitti hanno stritolato la piccola impresa commerciale e industriale: un vero e proprio passaggio di ricchezza si è verificato dalla piccola e media alla grande borghesia [...] L'apparato industriale ristretto ha potuto salvarsi dal completo sfacelo solo per un abbassamento del livello di vita della classe operaia premuta dalla diminuzione dei salari, dall'aumento della giornata di lavoro [...] La disgregazione sociale e politica del regime fascista ha avuto la sua piena manifestazione di massa nelle elezioni del 6 aprile. Il fascismo è stato messo nettamente in minoranza nella zona industriale [...] Le elezioni del 6 aprile [...] segnarono l'inizio di quella ondata democratica che culminò nei giorni immediatamente successivi all'assassinio dell'on. Matteotti [...] le opposizioni avevano acquistato dopo le elezioni un'importanza politica enorme; l'agitazione da esse condotta nei giornali e nel Parlamento per discutere e negare la legittimità del governo fascista [...] si ripercuoteva nel seno dello stesso Partito nazionale fascista, incrinava la maggioranza parlamentare. Di qui l'inaudita campagna di minacce contro le opposizioni e l'assassinio del deputato unitario [...]».
«Il delitto Matteotti dette la prova provata che il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello statista e del dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alla storia nell'ordine delle diverse maschere provinciali italiane, più che nell'ordine dei Cromwell, dei Bolivar, dei Garibaldi».
S'ingannava, perché l'inerzia dell'opposizione non riuscì a dare alternative del blocco sociale in cui la piccola borghesia teme il «salto nel buio» della caduta del regime e i fascisti riprendono coraggio e ricominciano le violenze squadriste: in una delle tante viene aggredito anche Gobetti. E dopo il 12 settembre, quando il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram il deputato fascista Armando Casalini, per vendicare la morte di Matteotti, la repressione s'inasprisce. Il 20 ottobre Gramsci propose vanamente che l'opposizione aventiniana si costituisca in «Antiparlamento», in modo da segnare nettamente la distanza e svuotare di significato un Parlamento di soli fascisti; il 26 partì per la Sardegna, per intervenire al Congresso regionale del partito e per rivedere i famigliari. Il 6 novembre si congedò dalla madre, che non avrebbe più rivisto.
Il 12 novembre 1924 il deputato comunista Luigi Repossi rientrò in Parlamento, dove sedevano solo i deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare Matteotti a nome di tutto il suo partito; il 26 vi rientrò anche tutto il gruppo parlamentare comunista, a segnare l'inutilità dell'esperienza aventiniana. Il 27 dicembre 1924 il quotidiano di Giovanni Amendola "Il Mondo" pubblicò le dichiarazioni di Cesare Rossi, già capo ufficio stampa di Mussolini, a proposito del delitto Matteotti: «Tutto quanto è successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l'approvazione o per la complicità del duce» e il 3 gennaio 1925 Mussolini, in un discorso rimasto famoso, a confermare quella testimonianza, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi «la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando il via a una nuova azione repressiva.
In febbraio Gramsci andò a Mosca, per stare con la moglie e conoscere finalmente il figlio Delio. Tornato in Italia a maggio, il 26 tenne il suo primo - e unico - discorso in Parlamento, davanti all'ex compagno di partito Mussolini, ora Primo ministro, che aveva descritto l'anno prima come un capo «divinizzato, dichiarato infallibile, preconizzato organizzatore e ispiratore di un rinato Impero romano [...] conosciamo quel viso: conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia [...] Mussolini [...] è il tipo concentrato del piccolo-borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica».
Con il pretesto di colpire la Massoneria, il governo aveva predisposto un disegno di legge per disciplinare l'attività di associazioni, enti e istituti: continuamente interrotto, Gramsci respinse il pretesto che il governo si era dato, «perché la Massoneria passerà in massa al Partito fascista e ne costituirà una tendenza, è chiaro che con questa legge voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e contadine».
E ironizzando: «Qualche fascista ricorda ancora nebulosamente gli insegnamenti dei suoi vecchi maestri, di quando era rivoluzionario e socialista, e crede che una classe non possa rimanere tale permanentemente e svilupparsi fino alla conquista del potere, senza che essa abbia un partito e un'organizzazione che ne riassuma la parte migliore e più cosciente. C'è qualcosa di vero, in questa torbida perversione degli insegnamenti marxisti».
Concluse: «Voi potete conquistare lo Stato, potete modificare i codici, potete cercar di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono esistite fino adesso ma non potete prevalere sulle condizioni obbiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso da quello fin oggi più diffuso nel campo dell'organizzazione di massa. Ciò noi vogliamo dire al proletariato e alle masse contadine italiane, da questa tribuna: che le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi».
Il Congresso di Lione
Dal 20 al 26 gennaio 1926 si svolse clandestinamente a Lione il III Congresso del Partito. Vi parteciparono 70 delegati, con tutti i maggiori responsabili, Bordiga, Gramsci, Tasca, Togliatti, Grieco, Leonetti, Scoccimarro: vi era anche Serrati, che aveva lasciato da poco il Partito socialista di cui era stato a lungo dirigente di primo piano. Assisteva, a nome dell'Internazionale, Jules Humbert-Droz. Gramsci presentò le Tesi congressuali elaborate insieme con Togliatti.Con un capitalismo debole e l'agricoltura base dell'economia nazionale, in Italia si assiste al compromesso fra industriali del Nord e proprietari fondiari del Sud, ai danni degli interessi generali della maggioranza della popolazione. Il proletariato, in quanto forza sociale omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia urbana e rurale, che ha interessi differenziati, viene visto, nelle Tesi, come l'unico elemento che abbia una funzione unificatrice di tutta la società.
Secondo Gramsci il fascismo non è, come ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la classe dominante, ma è il prodotto politico della piccola borghesia urbana e agraria che ha consegnato il potere alla grande borghesia, e la sua tendenza imperialistica è l'espressione della necessità, da parte delle classi industriali e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia permette, per la sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali idonee a dar luogo a questa soluzione sono il proletariato del Nord e i contadini del Mezzogiorno. A questo scopo, il Partito andrà bolscevizzato, ossia organizzato per cellule di fabbrica e disciplinato negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle frazioni.
Il Congresso approvò le Tesi a grande maggioranza (90%) ed elesse il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito. Da allora, la sinistra comunista di Bordiga non ebbe più un ruolo influente nel Partito.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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