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Benedetto Croce
(✶1866   †1952)

Croce fa proprio questo detto hegeliano chiarendo però che non si vuole «assegnare alla storia il tema del formarsi di una libertà che prima non era e che un giorno sarà, ma per affermare la libertà come l'eterna formatrice della storia, soggetto stesso di ogni storia. Come tale essa è per un verso, il principio esplicativo del corso storico e, per l'altro, l'ideale morale dell'umanità». I popoli e gli individui anelano sempre alla libertà, e come dice Hegel «ciò che è razionale è reale» (cioè la ragione concepisce quello che può diventare reale) e «ciò che è reale è razionale» (cioè esiste un'intrinseca razionalità, anche minima, in ogni fenomeno storico, anche se non tutto il reale è ovviamente razionale).

Alcuni storici, senza ben rendersi conto di quello che scrivono, sostengono che ormai la libertà ha abbandonato la scena della storia. Ma affermare che la libertà è morta vorrebbe dire che è morta la vita. Non esiste nella storia un ideale che possa sostituire quello della libertà «che è l'unica che faccia battere il cuore dell'uomo, nella sua qualità di uomo». Ciò significa che la libertà non è una fase di presa di coscienza che conduce allo Stato etico o al socialismo, venendo superata, ma è essa stessa la verità nel divenire, non una fase.

Egli critica Hegel, poiché secondo lui il filosofo ha concepito la dialettica in modo riduttivo, ovvero semplicemente come dialettica degli opposti, mentre secondo Croce sussiste anche una logica dei distinti, ovvero il fatto che certi atti ed eventi vadano sempre considerati appunto distinti rispetto ad altri ordini di atti ed eventi. Elabora, quindi, un vero e proprio sistema, da lui denominato la filosofia dello spirito. Inoltre, la prima importante differenza con Hegel è che nel sistema crociano non vi rientra né la religione, né la natura. La religione sarebbe infatti un complesso miscuglio di elementi poetici, morali e filosofici che le impediscono di presentarsi come forma autonoma dello Spirito. La natura poi non è altro che l'oggetto "mascherato" dell'attività economica, è il frutto della considerazione economica diretta al mondo.

Qui la realtà in quanto attività (ovvero produzione dello spirito o della storia) è articolata in quattro forme fondamentali, suddivise per modo (teoretico o pratico) e grado (particolare o universale): estetica (teoretica - particolare), logica (teoretica-universale), economia (pratica - particolare), etica (pratica - universale). La relazione tra queste quattro forme opera la suddetta logica dei distinti, mentre all'interno di ognuna di esse si ha la dialettica degli opposti.

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Estetica

Croce si interessò anche di critica letteraria (saggi su Goethe (1917), Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920), "La letteratura della nuova Italia" e "La poesia di Dante") condotta secondo la sua teoria estetica che mirava nel giudizio critico dell'opera letteraria alla scoperta delle motivazioni profonde dell'ispirazione artistica tanto più valida quanto più coerente con le categorie di bello-brutto.

La prima parte della teoria estetica la ritroviamo in opere come Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902), Breviario di estetica (1912) e Aesthetica in nuce (1928) In seguito modificò questa iniziale teoria stabilendo per la storia un nesso con la filosofia. L'estetica, dal significato originario del termine aisthesis (sensazione), si configura in primo luogo come attività teoretica relativa al sensibile, si riferisce alle rappresentazioni ed alle intuizioni che noi abbiamo della realtà.

Come conoscenza del particolare l'intuizione estetica è la prima forma della vita dello Spirito. Prima logicamente e non cronologicamente poiché tutte le forme sono presenti insieme nello spirito. L'arte, come aspetto dell'Estetica, è una forma della vita spirituale che consiste nella conoscenza, intuizione del particolare che:
come forma dello spirito, come creatività non è sensazione, conoscenza sensibile che è un aspetto passivo dello spirito rispetto ad una materia oscura e ad esso estranea;
come conoscenza (prima forma dell'attività teoretica) non ha a che fare con la vita pratica. Bisogna quindi respingere tutte le estetiche che abbiano fini edonistici, sentimentali e moralistici; quale espressione di un valore autonomo dello spirito, l'arte non può né deve essere giudicata secondo criteri di verità, moralità o godimento;
come intuizione pura va distinta dal concetto che è conoscenza dell'universale: compito proprio della filosofia.

L'arte può essere definita quindi come intuizione-espressione, due termini inscindibili per cui non è possibile intuire senza esprimere né è possibile espressione senza intuizione. Ciò che l'artista intuisce è la stessa immagine (pittorica, letteraria, musicale ecc.) che egli per ispirazione crea da una considerazione del reale, nel senso che l'opera artistica è l'unità indifferenziata della percezione del reale e della semplice immagine del possibile.

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La distinzione tra arte e non arte risiede nel grado di intensità dell'intuizione-espressione. Tutti noi intuiamo ed esprimiamo: ma l'artista è tale perché ha un'intuizione più forte, ricca e profonda a cui sa far corrispondere un'espressione adeguata. Coloro che sostengono di essere artisti potenziali poiché hanno delle intense intuizioni ma che non sono capaci di tradurre in espressioni, non si rendono conto che in realtà non hanno alcuna intuizione poiché se la possedessero veramente essa si tradurrebbe in espressione.

L'arte non è aggiunta di una forma ad un contenuto ma espressione, che non vuol dire comunicare, estrinsecare, ma è un fatto spirituale, interiore come l'atto inscindibile da questa che è l'intuizione. Nell'estetica dobbiamo far rientrare anche quella forma dell'espressione che è il linguaggio che nella sua natura spirituale fa tutt'uno con la poesia. L'estetica quindi come una "linguistica in generale". Dall'estetica deriva la critica letteraria crociana, espressa in molti saggi.

Critica letteraria
Il Croce critico letterario, specie quello di Poesia e non poesia, esercitò molta influenza successiva, quasi una "dittatura intellettuale" sulla cultura italiana, ma ricevette anche critiche: ad esempio furono ritenute scorrette, "pseudoconcetti" (riprendendo una parola usata da Croce), poiché non presentate come opinione personale ma come veri canoni estetici, varie tesi, come la sua opposizione alle novità letterarie europee, esemplificate dalle stroncature verso gran parte dell'opera di Gabriele D'Annunzio, Giovanni Pascoli (di cui apprezzò solo alcune parti di Myricae e dei Canti di Castelvecchio criticando i saggi e le poesie civili), del crepuscolarismo e di Giacomo Leopardi: di quest'ultimo salvò, nei Canti, gli idilli e i canti pisano-recanatesi, ma criticò le poesie "dottrinali" e polemiche (in particolare i Paralipomeni della Batracomiomachia e la Palinodia al marchese Gino Capponi e le opere filosofiche (apprezzò solo una minima parte delle Operette morali), affermando che quella leopardiana non era vera filosofia, ma solo uno sfogo poetico in prosa, inferiore comunque alle liriche, dovuto esclusivamente alle condizioni fisiche e psicologiche del poeta recanatese.

Croce non considera Leopardi un vero filosofo, come Schopenhauer, a cui invece riconosce dignità filosofica ma che non apprezza come individuo poiché ritenuto cinico ed indifferente, ma solo un pensatore, il cui pensiero è essenzialmente al servizio della sua poesia. Sulla scorta di Francesco de Sanctis, esprime simpatia umana al poeta recanatese per lo spirito civile, l'impegno e la lotta eroica contro le sofferenze fisiche, come espresso nella poesia La Ginestra.

Egli fu grande ammiratore soprattutto del Carducci, in quanto classicista, razionale e sentimentale al tempo stesso, ma senza scadere nel sentimentalismo irrazionale, e, a proposito del decadentismo e degli autori di questo movimento, scrisse, in Del carattere della più recente letteratura italiana: «Nel passare da Giosuè Carducci a questi tre, sembra, a volte, come di passare da un uomo sano a tre malati di nervi». La polemica contro il decadentismo è figlia di quella contro il positivismo: Croce sostiene che il misticismo decadente, che egli disapprova come sintomo di vuoto spirituale e filosofico (Croce è razionalista e idealista al tempo stesso), è figlio dello scientismo positivistico e delle pseudoscienze da esso generate (come lo spiritismo): «Di qua il positivismo, di fronte il misticismo; perché questo è figlio di quello: un positivista dopo la gelatina dei gabinetti, non credo abbia altro di più caro che l'inconoscibile, cioè la gelatina dove si coltiva il microbio del misticismo».

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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