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Erminio Juvalta
(✶1863 †1934)
«Ogni sforzo di derivare una valutazione morale da qualche cosa di cui non sia già riconosciuto il valore morale è dunque vano e illusorio. O non dà quel che si cerca, o presuppone quel che si pretende di fondare.»
Erminio Juvalta (Chiavenna, 6 aprile 1863 – Torino, 5 ottobre 1934) è stato un filosofo e accademico italiano.
Erminio Volfango Francesco Juvalta nacque a Chiavenna, in provincia di Sondrio, il 6 aprile 1863. I genitori erano il barone Corrado, cancelliere della locale pretura originario di Villa di Tirano, e Teresa Zanetti di Tirano. Dopo gli studi liceali trascorsi tra Como e Sondrio, si iscrisse all'università di Pavia dove si laureò nel 1886 con una tesi su Spinoza, sotto la guida del professor Carlo Cantoni, eminente rappresentante della corrente del neokantismo italiano. Successivamente Juvalta insegnò per molti anni materie filosofiche in vari licei della penisola, quali Caltanissetta, Potenza, Spoleto, arrivando altresì a svolgere per alcuni anni la carica di provveditore agli studi e ispettore scolastico.
Dopo aver conseguito la libera docenza universitaria nel 1892, Juvalta vinse il concorso per la cattedra di filosofia morale alla Facoltà di Lettere dell'Università di Torino nel 1915: i suoi corsi furono incentrati prevalentemente su Spencer, Spinoza e Kant. Le tematiche accademiche prevalentemente trattate riguardarono soprattutto i valori di “libertà” e di “giustizia” con ampie riflessioni etiche. Juvalta, convinto della loro generalità e universalità, arrivò ad auspicarne una loro applicazione anche nello studio delle moderne categorie politiche ed economiche.
Juvalta morì il 5 ottobre 1934 a Torino, rimanendo sostanzialmente ignorato dai colleghi filosofi suoi contemporanei: solo post mortem, infatti, le sue opere divennero oggetto di studio, grazie anche all'allievo Ludovico Geymonat che curò la pubblicazione degli scritti del suo maestro.
Pensiero
Il positivismo e la presa di distanza da Spencer
La filosofia di E. Juvalta è una profonda riflessione sull'etica filosofica portata avanti con il metodo dell'analisi critica. Anche se, come risulta dalla sua bibliografia, non troviamo nei suoi scritti importanti contributi sul piano gnoseologico ed epistemologico, dal momento che il suo principale campo d'indagine fu prevalentemente lo studio dei sistemi morali, possiamo affermare senza dubbio che sia il Neokantismo che il Positivismo di fine ottocento costituirono il nucleo di fondo della sua posizione teoretica, da cui sviluppò la sua impostazione metodologica e filosofica.
Il positivismo, in particolare, è stato il primo grande sistema filosofico con cui si è misurato nella prima fase della sua elaborazione concettuale, ed ha costituito per molto tempo la sua principale fonte di riflessione. Tuttavia a partire da uno studio critico del pensiero del filosofo inglese H. Spencer, molto ammirato dai positivisti dell'epoca per la sua impostazione metodologica, Juvalta sarà costretto a prendere presto le distanze da una siffatta visione della morale. I motivi di questa rottura sono da imputare principalmente al suo fermo rifiuto di accogliere come sostenibile la pretesa positivistica di fondare l'etica su basi e presupposti scientifici, ampiamente auspicata invece dal filosofo inglese negli scritti aventi per argomento l'etica.
“Il giudizio con il quale si afferma il valore di un oggetto è diverso e non deducibile dal giudizio col quale ne afferma l'esistenza o la possibilità o la connessione modale o condizionale con altri soggetti. Apprendere come le cose sono, è tutt'altra cosa dal valutarle”.
Secondo Juvalta, dal momento che la finalità dell'etica si concreta nella costruzione di teorie morali ed in particolare di coerenti sistemi di valori morali, il giudizio che sta alla base di una qualsivoglia teoria etica deve configurarsi come “un giudizio originario” che ha una natura eminentemente etica, quindi non scientifica (come volevano Spencer e i positivisti) né tantomeno metafisica (come volevano la gran parte delle filosofie che si rifacevano ad una tradizione fondazionalista). Se però una etica scientifica appare insostenibile per il motivo dell'indebita derivazione dei giudizi di valore, di natura morale, da giudizi scientifici, di natura fattuale, è indubbio che la costruzione di ogni sistema morale debba essere condotta con criteri di scientificità. Nella misura in cui ogni teoria è basata su criteri logico – deduttivi e viene definita dalle relazioni logiche che intrattengono in essa i propri elementi costitutivi, così anche la costruzione di sistemi etici deve seguire la stessa metodologia e mostrare possibilmente l'identica costruzione formale. Questi sistemi di valori hanno l'obbligo di mantenere al loro interno un imprescindibile grado di coerenza, se vogliono risultare sostenibili ed essere così accettati dalla ragione. Quando Juvalta parla di scienza dell'etica lo fa proprio pensando a questo carattere logico – deduttivo dei valori all'interno di un sistema; in particolare egli vede garantita la scientificità di un sistema morale nella misura in cui un coerente insieme di valori viene rigorosamente derivato da un postulato di valore morale capace di fungere da premessa all'intero sistema.
Avvicinamento al neokantismo
Una volta prese le distanze dai positivisti di fine ottocento, Juvalta si avvicinerà successivamente al Kantismo; in particolare accoglierà, anche se con alcune riserve, molte delle posizioni assunte dal cosiddetto Neokantismo, il movimento di pensiero di inizio novecento che aveva come obiettivo la rivalutazione piena del filosofo di Konisberg riadattando i contenuti del suo pensiero ad esigenze e problematiche tipiche della contemporaneità. Juvalta vede in Kant il più grande filosofo della modernità, colui che meglio di qualsiasi altro pensatore ha saputo cogliere il vero senso dell'autonomia della morale, svincolando per sempre l'etica dai saperi di natura conoscitiva, i quali, proprio in quanto si rivolgono all'ambito fenomenico, non riescono a coglier interamente tutto ciò che ha a che fare con la sfera dei valori (come per esempio la scienza e in generale l'ambito teoretico).
“L'indipendenza e l'indeducibilità dei valori morali da qualsiasi speculazione teoretica fu, come tutti sanno, riconosciuta e affermata, nella forma più esplicita e con grandissimo vigore dal Kant.”
L'autonomia dell'etica
Kant ha avuto il grande merito, secondo Juvalta, di consegnare alla morale uno speciale statuto di autonomia e di indipendenza. Per Juvalta la morale deve necessariamente esprimere questo suo carattere di autonomia e di “autoassiomaticità” per poter continuare ad essere coerente e allo stesso tempo attendibile sotto il profilo puramente teorico. Abbracciare l'idea di autonomia della morale significa, prima di tutto, accettare una visione antifondazionalista dell'etica. Se volessimo condensare questa idea autonomista in una sintetica enunciazione potremo dire che l'etica non può prendere le mosse che da se stessa. Ogni tentativo di fondare una teoria etica su ambiti del sapere diversi da quello morale, finisce con il configurarsi come un'indebita pretesa di intromissione da parte di chi si illude di derivare un contenuto di valore morale da una premessa fattuale o metafisica o estetica. Alla base di un sistema coerente di valori, cioè un sistema morale costruito deduttivamente, deve esserci un postulato originario di natura etica e non di natura teoretica o peggio ancora metafisica, e questo per questioni eminentemente logico – analitiche, che impongono ad ogni sistema coerente di evitare la fallacia logica della Petitio principii, cioè l'errore di voler caparbiamente dimostrare ciò che invece abbiamo già implicitamente accettato nelle premesse.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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