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Giovanni Pascoli
(✶1855   †1912)

Opere

1891
Myricae, Livorno, Giusti, 1891; 1892; 1894; 1897; 1900; 1903.
1895
Lyra romana. Ad uso delle scuole classiche, Livorno, Giusti, 1895; 1899; 1903; 1911. (antologia di scritti latini per la scuola superiore)
1897
Pensieri sull'arte poetica, in Il Marzocco, 17 gennaio, 7 marzo, 21 marzo, 11 aprile 1897. (meglio noto come Il fanciullino)
Iugurtha. Carmen Johannis Pascoli ex castro Sancti Mauri civis liburnensis et Bargaei in certamine poetico Hoeufftiano magna laude ornatum, Amstelodami, Apud Io. Mullerum, 1897. (poemetto latino)
Epos, Livorno, Giusti, 1897. (antologia di autori latini)
Poemetti, Firenze, Paggi, 1897.
1898
Minerva oscura. Prolegomeni: la costruzione morale del poema di Dante, Livorno, Giusti, 1898. (studi danteschi)
1899
Intorno alla Minerva oscura, Napoli, Pierro Veraldi, 1899.
1900
Sul limitare. Poesie e prose per la scuola italiana, Milano-Palermo, Sandron, 1900. (antologia di poesie e prose per la scuola)
Sotto il velame. Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro, Messina, Vincenzo Muglia, 1900.
1901
Fior da fiore. Prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori, Milano-Palermo, Sandron, 1901. (antologia di prose e poesie italiane per le scuole medie)
1902
La mirabile visione. Abbozzo d'una storia della Divina Comedia, Messina, Vincenzo Muglia, 1902
1903
Canti di Castelvecchio, Bologna, Zanichelli, 1903; 1905; 1907. (dedicati alla madre)
1904
Primi poemetti, Bologna, Zanichelli, 1904.
Poemi conviviali, Bologna, Zanichelli, 1904.
1906
Odi e Inni. 1896-1905, Bologna, Zanichelli, 1906.
1907
Pensieri e discorsi. 1895-1906, Bologna, Zanichelli, 1907.
1909
Nuovi poemetti, Bologna, Zanichelli, 1909.
Canzoni di re Enzio
La canzone del Carroccio, Bologna, Zanichelli, 1908.
La canzone del Paradiso, Bologna, Zanichelli, 1909.
La canzone dell'Olifante, Bologna, Zanichelli, 1908.
1911
Poemi italici, Bologna, Zanichelli, 1911.
La grande proletaria si è mossa. Discorso tenuto a Barga per i nostri morti e feriti, Bologna, Zanichelli, 1911. (Già pubbl. in La tribuna, 27 novembre 1911)
1912
Poesie varie, Bologna, Zanichelli, 1912; 1914. (a cura della sorella Maria)
1913
Poemi del Risorgimento, Bologna, Zanichelli, 1913.
1914
Patria e umanità. Raccolta di scritti e discorsi, Bologna, Zanichelli, 1914.
Carmina, Bononiae, Zanichelli, 1914. (poesie latine)
1922
Nell'anno Mille. Dramma, Bologna, Zanichelli, 1922. (dramma incompiuto)
1923
Nell'anno Mille. Sue notizie e schemi di altri drammi, Bologna, Zanichelli, 1923.
1925
Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino, Bologna, Zanichelli, 1925.

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Approfondimenti

Myricae
Il libro Myricae è la prima vera e propria raccolta di poesie del Pascoli, nonché una delle più amate. Il titolo riprende una citazione di Virgilio all'inizio della IV Bucolica in cui il poeta latino proclama di innalzare il tono poetico poiché "non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici" (non omnes arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli invece propone "quadretti" di vita campestre in cui vengono evidenziati particolari, colori, luci, suoni i quali hanno natura ignota e misteriosa. Il libro crebbe per il numero delle poesie in esso raccolte. Nel 1891, data della sua prima edizione, il libro raccoglieva soltanto 22 poesie dedicate alle nozze di amici. Nel 1903, la raccolta definitiva comprendeva 156 liriche del poeta. I componimenti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al lavoro dei campi e alla vita contadina. Le myricae, le umili tamerici, diventano un simbolo delle tematiche del Pascoli ed evocano riflessioni profonde.

La descrizione realistica cela un significato più ampio così che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. In realtà questa frettolosa interpretazione della poetica pascoliana fa da scenario a stati d'animo come inquietudini ed emozioni. Il significato delle Myricae va quindi oltre l'apparenza. Nell'edizione del 1897 compare la poesia Novembre, mentre nelle successive compariranno anche altri componimenti come L'Assiuolo. Pascoli ha dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre ("A Ruggero Pascoli, mio padre").

La produzione latina
Giovanni Pascoli fu anche autore di poesie in lingua latina e con esse vinse per ben tredici volte il Certamen Hoeufftianum, un prestigioso concorso di poesia latina che annualmente si teneva ad Amsterdam. La produzione latina accompagnò il poeta per tutta la sua vita: dai primi componimenti scritti sui banchi del collegio degli Scolopi di Urbino, fino al poemetto Thallusa, la cui vittoria il poeta apprese solo sul letto di morte nel 1912. In particolare, l'anno 1892 fu insieme l'anno della sua prima premiazione con il poemetto Veianus e l'anno della stesura definitiva delle Myricae. Tra la sua produzione latina, vi è anche il carme alcaico Corda Fratres, composto nel 1898, pubblicato nel 1902, inno ufficiale della Fédération internationale des étudiants, una confraternita studentesca meglio nota come Corda Fratres. Pascoli amava molto il latino, che può essere considerato la sua lingua del cuore: il poeta scriveva in latino, prendeva appunti in latino, spesso pensava in latino, trasponendo poi espressioni latine in italiano; la sorella Maria ricorda che dal suo letto di morte Pascoli parlò in latino, anche se la notizia è considerata dai più poco attendibile, dal momento che la sorella non conosceva questa lingua. Per lungo tempo la produzione latina pascoliana non ha ricevuto l'attenzione che merita, essendo stata erroneamente considerata quale un semplice esercizio del poeta. Il Pascoli in quegli anni non era infatti l'unico a cimentarsi nella poesia latina (Giuseppe Giacoletti, un insegnante nel collegio degli Scolopi di Urbino frequentato dal Pascoli, vinse l'edizione del Certamen del 1863 con un poemetto sulle locomotive a vapore); ma Pascoli lo fece in maniera nuova e con risultati, poetici e linguistici, sorprendenti. L'attenzione verso questi componimenti si accese con la raccolta in due volumi curata da Ermenegildo Pistelli nel 1914, col saggio di Adolfo Gandiglio nell'edizione del 1930. Esistono delle traduzioni in lingua italiana delle poesie latine di Pascoli quali quella curata da Manara Valgimigli o le traduzioni di Enzo Mandruzzato.

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Tuttavia la produzione latina ha un significato fondamentale, essendo coerente con la poetica del Fanciullino, la cifra del pensiero pascoliano. In realtà, la poetica del Fanciullino è la confluenza di due differenti poetiche: la poetica della memoria e la poetica delle cose. Gran parte della poesia pascoliana nasce dalle memorie, dolci e tristi, della sua infanzia: "Ditelo voi [...], se la poesia non è solo in ciò che fu e in ciò che sarà, in ciò che è morto e in ciò che è sogno! E dite voi, se il sogno più bello non è sempre quello in cui rivive ciò che è morto". Pascoli dunque intende fare rivivere ciò che è morto, attingendo non solo al proprio ricordo personale, bensì travalica la propria esperienza, descrivendo personaggi facenti parte anche dell'evo antico: infanzia e mondo antico sono le età nelle quali l'uomo vive o è vissuto più vicino ad una sorta di stato di natura. "Io sento nel cuore dolori antichissimi, pure ancor pungenti. Dove e quando ho provato tanti martori? Sofferto tante ingiustizie? Da quanti secoli vive al dolore l'anima mia? Ero io forse uno di quegli schiavi che giravano la macina al buio, affamati, con la museruola?". Contro la morte - delle lingue, degli uomini e delle epoche - il poeta si appella alla poesia: essa è la sola, la vera vittoria umana contro la morte. "L'uomo alla morte deve disputare, contrastare, ritogliere quanto può". Ma da ciò non consegue di necessità l'uso del latino.

Qui interviene l'altra e complementare poetica pascoliana: la poetica delle cose. "Vedere e udire: altro non deve il poeta. Il poeta è l'arpa che un soffio anima, è la lastra che un raggio dipinge. La poesia è nelle cose". Ma questa aderenza alle cose ha una conseguenza linguistica di estrema importanza, ogni cosa deve parlare quanto più è possibile con la propria voce: gli esseri della natura con l'onomatopea, i contadini col vernacolo, gli emigranti con l'italo-americano, Re Enzio col bolognese del Duecento; i Romani, naturalmente, parleranno in latino. Dunque il bilinguismo di Pascoli in realtà è solo una faccia del suo plurilinguismo. Bisogna tenere conto anche di un altro elemento: il latino del Pascoli non è la lingua che abbiamo appreso a scuola. Questo è forse il secondo motivo per il quale la produzione latina pascoliana è stata per anni oggetto di scarso interesse: per poter leggere i suoi poemetti latini è necessario essere esperti non solo del latino in generale, ma anche del latino di Pascoli. Si è già fatto menzione del fatto che nello stesso periodo, e anche prima di lui, altri autori avevano scritto in latino; scrivere in latino per un moderno comporta due differenti e contrapposti rischi. L'autore che si cimenti in questa impresa potrebbe, da una parte, incappare nell'errore di esprimere una sensibilità moderna in una lingua classica, cadendo in un latino maccheronico; oppure potrebbe semplicemente imitare gli autori classici, senza apportare alcuna novità alla letteratura latina.

Pascoli invece reinventa il latino, lo plasma, piega la lingua perché possa esprimere una sensibilità moderna, perché possa essere una lingua contemporanea. Se oggi noi parlassimo ancora latino, forse parleremmo il latino di Pascoli. (cfr. Alfonso Traina, Saggio sul latino del Pascoli, Pàtron). Numerosi sono i componimenti, in genere raggruppati in diverse raccolte secondo l'edizione del Gandiglio, tra le quali: Poemata Christiana, Liber de Poetis, Res Romanae, Odi et Hymni. Due sembrano essere i temi favoriti del poeta: Orazio, poeta della aurea mediocritas, che Pascoli sentiva come suo alter ego, e le madri orbate, cioè private del loro figlio (cfr. Thallusa, Pomponia Graecina, Rufius Crispinus). In quest'ultimo caso il poeta sembra come ribaltare la sua esperienza personale di orfano, privando invece le madri del loro ocellus ("occhietto", come Thallusa chiama il bambino). I Poemata Christiana sono da considerarsi il suo capolavoro in lingua latina. In essi Pascoli traccia, attraverso i vari poemetti, tutti in esametri, la storia del Cristianesimo in Occidente: dal ritorno a Roma del centurione che assistette alla morte di Cristo sul Golgota (Centurio), alla penetrazione del Cristianesimo nella società romana, dapprima attraverso gli strati sociali di condizione servile (Thallusa), poi attraverso la nobiltà romana (Pomponia Graecina), fino al tramonto del paganesimo (Fanum Apollinis).

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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