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Girolamo Savonarola
(✶1452 †1498)
Alessandro VI
Il 21 luglio 1495 il papa inviò al Savonarola un Breve, nel quale, dopo aver espresso apprezzamento per l'opera sua nella vigna del Signore, lo invitava a Roma ut quod placitum est Deo melius per te cognoscentes peragamus, affinché egli, il papa, possa far meglio le cose, conosciute direttamente dal frate, che siano gradite a Dio. Naturalmente Savonarola rifiutò, con una lettera di risposta del 31 luglio, di recarsi a Roma, adducendo motivi di salute e promettendo un futuro incontro e per intanto l'invio di un libretto ove il papa avrebbe desunto i suoi proponimenti: è il Compendio di rivelazioni, pubblicato a Firenze il 18 agosto.Il papa rispose l'8 settembre con un altro Breve nel quale fra Girolamo, accusato di eresia e di false profezie, venne sospeso da ogni incarico e il giudizio a suo carico veniva demandato al vicario generale della Congregazione lombarda, fra Sebastiano Maggi. Savonarola rispose il 30 settembre respingendo tutte le accuse e rifiutando di sottomettersi al vicario della Congregazione, che considerava suo avversario e aspettandosi che fosse il Papa stesso ad assolverlo da ogni accusa; l'11 ottobre accusò dal pulpito gli Arrabbiati di aver brigato col papa per distruggerlo. Alessandro VI, con un Breve del 16 ottobre, sospese i precedenti ordini e gli intimò soltanto di astenersi dalle predicazioni, in attesa di future decisioni.
Savonarola obbedì ma non restò inoperoso: il 24 ottobre pubblicò l'Operetta sopra i Dieci Comandamenti e attese alla stesura del De simplicitate christianae vitae. In dicembre apparve la sua Epistola a un amico nella quale respinse le accuse di eresia e difese la riforma politica introdotta a Firenze. La Signoria, intanto, premeva sul Papa perché costui accordasse nuovamente il permesso di predicare a fra Girolamo: il suo ascendente sulla popolazione era indispensabile per ribattere gli attacchi che gli Arrabbiati portavano al governo e allo stesso frate, accusati di essere responsabili della perdita di Pisa.
Sembra che il permesso fosse giunto da Alessandro VI oralmente vivae vocis oraculo al cardinale Carafa e al delegato fiorentino Ricciardo Becchi; in ogni caso, il 16 febbraio 1496, dopo essere stato accompagnato al Duomo da una folla in corteo di 15.000 persone, Girolamo risalì sul pulpito di Santa Maria del Fiore, per la prima predica del quaresimale di quell'anno.
Il 24 febbraio si scagliò contro la Curia romana: «Noi non diciamo se non cose vere, ma sono li vostri peccati che profetano contra di voi [...] noi conduciamo li uomini alla simplicità e le donne ad onesto vivere, voi li conducete a lussuria e a pompa e a superbia, ché avete guasto il mondo e avete corrotto li uomini nella libidine, le donne alla disonestà, li fanciulli avete condotto alle soddomie e alle spurcizie e fattoli diventare come meretrici». Tali prediche furono raccolte in volume e pubblicate con il titolo Prediche sopra Amos.
Fra i nemici esterni di Firenze e del Savonarola segnatamente non era del resto solo il papa, ma tutti gli aderenti alla Lega antifrancese, come Ludovico il Moro al quale il frate scrisse l'11 aprile 1496 invitandolo «a fare penitentia de li soi peccati, perché il flagello si appropinqua [...] di questo mio dire non ho aspettato né aspetto altro che infamia et opprobrii e persecuzioni e finalmente la morte [...]»; e lo Sforza rispose scusandosi, chissà quanto sinceramente, «se pur vi avemo offeso e fatto cosa molesta [...] e in far penitenzia e meritare con Dio non se retireremo».
In aprile predicò a Prato, nella chiesa di San Domenico, ascoltato dal consueto grande concorso di folla, tra la quale sono i maggiori filosofi fiorentini del tempo, il platonico Marsilio Ficino e l'aristotelico Oliviero Arduini; alla fine di quel mese si stampò a Firenze l'ultima operetta di Girolamo, la Expositio psalmi Qui regis Israel - postume, nel 1499, appariranno le Prediche sopra Ruth e Michea, composte entro il novembre 1496 - mentre la sua proposta di proibire per legge vesti scollate ed elaborate acconciature delle donne venne respinta dalla Repubblica.
In agosto Alessandro VI gli offrì, tramite il domenicano Lodovico da Valenza - altri intendono che il messo fosse il figlio stesso del papa, Cesare Borgia, cardinale di Valencia - la nomina a cardinale a condizione che avesse ritrattato le precedenti critiche alla Chiesa e se ne fosse astenuto in futuro; fra Girolamo promise di rispondere il giorno dopo, alla predica, che tenne nella Sala del Consiglio, alla presenza della Signoria. Dopo aver ripercorso le vicende degli anni passati, via via accalorandosi, se ne uscì con un grido: «Non voglio cappelli, non voglio mitrie grandi o piccole, voglio quello che hai dato ai tuoi santi: la morte. Un cappello rosso, ma di sangue, voglio!».
Il 23 agosto 1496 Ludovico il Moro denunciò di aver intercettato due lettere del Savonarola dirette in Francia; una, indirizzata a Carlo VIII, lo sollecitava a venire in Italia mentre l'altra, diretta a un tale Niccolò, lo metteva in guardia contro l'arcivescovo di Aix, ambasciatore francese a Firenze, sostenendo la sua infedeltà al Re e l'atteggiamento ostile a Firenze. Sembra che quelle lettere siano dei falsi e che l'iniziativa del Moro tendesse a rompere l'alleanza franco-fiorentina e a screditare fra Girolamo, che negò di averle mai scritte.
Il 7 febbraio del 1497 Savonarola organizzò un falò delle vanità a Firenze, nel quale vennero dati alle fiamme molti oggetti d'arte, dipinti dal contenuto paganeggiante, gioielli, suppellettili preziose, vestiti lussuosi, con incalcolabile danno per l'arte e la cultura fiorentina rinascimentale.
La scomunica
Fu ufficialmente scomunicato da Papa Alessandro VI il 12 maggio del 1497, ma in anni recenti è stato dimostrato, sia da un carteggio personale tra il frate e il Papa sia da carteggi tra il Papa e altre personalità, che quella scomunica era falsa. Fu emanata dal cardinale arcivescovo di Perugia Juan López a nome del Papa, su istigazione di Cesare Borgia, che assoldò un falsario per creare una finta scomunica e distruggere il frate. Alessandro protestò vivamente contro il cardinale e minacciò Firenze di Interdetto affinché gli fosse consegnato il frate, così che potesse salvarlo e farlo discolpare, ma era talmente succube del figlio Cesare che non agì con tutto il potere che aveva né osò mai rivelare al mondo l'inganno perpetrato dall'amato figlio a danno di un uomo che egli stimava come santo.La prima predica di Savonarola dopo la scomunica esordì fingendo un dialogo con un interlocutore, che gli rimproverava di predicare malgrado fosse scomunicato: «La hai tu letta questa escommunica? Chi l'ha mandata? Ma poniamo che per caso che così fussi, non ti ricordi tu che io ti dissi che ancora che la venisse, non varrebbe nulla? [...] non vi maravigliate delle persecuzioni nostre, non vi smarrite voi buoni, ché questo è il fine dei profeti: questo è il fine e il guadagno nostro in questo mondo». Ironia della sorte, quella scomunica davvero non valeva nulla, ma non per i motivi che pensava il frate, a meno che Savonarola non fosse venuto a conoscenza della sua vera origine senza però dire la verità al riguardo.
Savonarola continuò la sua campagna contro i vizi della Chiesa, se possibile con ancora più violenza, creandosi numerosi nemici, ma anche nuovi estimatori, perfino fuori Firenze: proprio a questo periodo risale una breve corrispondenza epistolare con Caterina Sforza, signora di Imola e Forlì, che gli aveva chiesto consiglio spirituale. La Repubblica fiorentina in un primo momento lo sostenne, ma poi, per timore dell'interdizione papale e per la diminuzione del prestigio del frate, gli tolse l'appoggio. Fu inscenata anche una prova del fuoco, che fallì, a cui era stato sfidato da un francescano suo rivale.
Il processo e la condanna
Venutogli meno l'appoggio francese, fu messo in minoranza rispetto al risorto partito dei Medici che nel 1498 lo fece arrestare e processare per eresia. La cattura del frate, barricatosi coi confratelli in San Marco, fu particolarmente cruenta: la domenica degli Ulivi il convento fu assediato dai "palleschi", i fautori del partito mediceo e antisavonaroliano, mentre la campana "Piagnona" suonava invano a martello; la porta del convento fu messa a fuoco e il convento preso d'assalto per tutta la notte, con scontri tra i frati e gli assalitori. In piena notte Savonarola fu catturato e trascinato fuori dal convento con fra Domenico Buonvicini, attraversando al lume delle torce via Larga verso palazzo Vecchio, dove entrò per il portello. Nel chinarsi un armigero gli calciò il fondo schiena schernendolo: "Ve' dove gli ha la profezia!".Fu rinchiuso nell'"Alberghetto", la cella nella torre di Arnolfo e subì interrogatori e torture. Il processo fu palesemente manipolato: Savonarola subì la tortura della corda, quella del fuoco sotto i piedi e fu quindi posto per un'intera giornata sul cavalletto, riportando lussazioni su tutto il corpo. Alla fine venne condannato ad essere bruciato in piazza della Signoria con due suoi confratelli, Domenico Buonvicini, da Pescia, e Silvestro Maruffi, da Firenze.
All'alba del 23 maggio 1498, alla vigilia dell'Ascensione, i tre religiosi, dopo aver ascoltato la messa nella cappella dei Priori nel palazzo della Signoria, furono condotti sull'arengario del palazzo stesso dove subirono la degradazione da parte del Tribunale del Vescovo. Nello stesso luogo vi erano anche il Tribunale dei Commissari Apostolici e quello del Gonfaloniere e dei Signori Otto di Guardia e Balìa, questi ultimi i soli che potevano decidere sulla condanna. Dopo la degradazione e la rimozione dell'abito domenicano i tre frati furono avviati verso il patibolo, innalzato nei pressi dove poi sorgerà la fontana del Nettuno e collegato all'arengario del palazzo da una passerella alta quasi due metri da terra. La forca, alta cinque metri, si ergeva su una catasta di legna e scope cosparse di polvere da sparo per bombarde. Fanciulli accovacciati sotto la passerella, come accadeva di frequente durante le esecuzioni, ferivano i palmi dei piedi al passare dei condannati con stecchi di legno appuntiti. Vestito di una semplice tunica di lana bianca Savonarola fu impiccato dopo fra Silvestro e fra Domenico. Fra le urla della folla fu appiccato il fuoco a quella catasta che in breve fiammeggiò violentemente, bruciando i corpi oramai senza vita degli impiccati. Nel bruciare un braccio del Savonarola si staccò, e la mano destra parve alzarsi con due dita dritte, come se volesse "benedire l'ingrato popolo fiorentino".
Le ceneri dei tre frati, del palco e d'ogni cosa arsa furono portate via con delle carrette e gettate in Arno dal Ponte Vecchio, anche per evitare che venissero sottratte e fatte oggetto di venerazione da parte dei molti seguaci del Savonarola mescolati fra la folla. Dice infatti il Bargellini che "ci furono gentildonne, vestite da serve, che vennero sulla piazza con vasi di rame a raccogliere la cenere calda, dicendo di volerla usare per il loro bucato". In effetti fu rinvenuto un dito bruciacchiato e il collare in ferro che aveva sorretto il corpo, che da allora sono conservati nel monastero di San Vincenzo a Prato. La mattina dopo, come già detto, il luogo dove avvenne l'esecuzione apparve tutto coperto di fiori, di foglie di palma e di petali di rose. Nottetempo, mani pietose avevano così voluto rendere omaggio alla memoria dell'ascetico predicatore, iniziando la tradizione che dura tuttora. Il punto esatto nel quale avvenne il martirio e oggi avviene la Fiorita era indicato da un tassello di marmo, già esistente, dove veniva collocato il "Saracino" quando si correva la giostra. Questo lo si deduce da "Firenze illustrata" di Del Migliore, il quale così scrive: "alcuni cittadini mandavano a fiorire ben di notte, in su l'ora addormentata, quel luogo per l'appunto dove fu piantato lo stile; che v'è per segno un tassello di marmo poco lontano dalla fonte".
Al posto dell'antico tassello per il gioco del Saracino, v'è attualmente la lapide circolare che ricorda il punto preciso dove fu impiccato e arso "frate Hieronimo". La lapide, in granito rosso, porta un'iscrizione in caratteri bronzei. Molti anni dopo la sua scomparsa, il termine Savonarola divenne un aggettivo di connotazione dispregiativa o ironica che sta ad indicare una persona che si scaglia con veemenza contro il degrado morale: il repubblicano Ugo La Malfa ad esempio venne soprannominato "Il Savonarola della politica". Il Museo nazionale di San Marco a Firenze conserva numerose memorie del frate.
Il dono profetico
Savonarola asseriva di aver avuto il dono della profezia. Nei suoi scritti sviluppa una vera e propria teologia della profezia cristiana ed annuncia chiaramente in nome di Dio i flagelli per l'Italia e per la Chiesa: "...In questi tre modi abbiamo avute e conosciute le cose future, alcune in uno alcune in un altro; benché in qualunque di questi modi io le abbia avute, sempre sono stato certificato della verità per el lume predetto. Vedendo lo onnipotente Dio multiplicare li peccati della Italia, massime ne li capi così ecclesiastici come seculari, non potendo più sostenere, determinò purgare la Chiesa sua per uno gran flagello. E perché, come è scritto in Amos profeta, non faciet Domunis Deus verbum, nisi revelaverit secretum suum ad servos suos prophetas, volse per la salute de li suoi eletti, acciocché innanzi al flagello si preparassino a sufferire, che nella Italia questo flagello fussi preanunziato; e essendo Firenze in mezzo la Italia come il core in mezzo al corpo, s'è dignato di eleggere questa città nella quale siano tali cose prenunziate, acciocché per lei si sparghino nelli altri luoghi, come per esperienzia vediamo essere fatto al presente. Avendo dunque tra gli altri suoi servi eletto me indegno e inutile a questo officio, mi fece venire a Firenze ....". Proprio perché esalta il proprio spirito profetico - su cui ironizzerà più tardi Machiavelli nei Decennali - Savonarola inveisce contro gli astrologi, che pretendevano di conoscere l'avvenire: il suo trattato Contro gli astrologi (ed. moderna: Roma, Salerno Editrice, 2000, a cura di C. Gigante) è ispirato alle monumentali Disputationes adversus astrologiam divinatricem di Pico della Mirandola, che costituiscono tuttavia un libro assai diverso sia per mole che per impegno speculativo.Opere
Fra le opere di Savonarola figurano:Prediche sopra Ezechiele
Prediche sopra Esodo
Prediche sopra Giobbe
De semplicitate Christianae vitae
Triumphus Crucis
Prediche sopra Ruth e Michea
Prediche sopra Aggeo (con il Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze)
Prediche sopra Amos e Zaccaria
Prediche sopra i Salmi
Compendio di rivelazioni (compendio revelationibus)
Dialogus de veritate prophetica
Solatium Itineris mei
Trattato contro gli astrologi
Regola del ben vivere, Firenze, Bartolomeo de' Libri, 1498.
Trattato dell'umiltà, Firenze, Bartolomeo de' Libri, prima del settembre 1495.
L'editore romano Angelo Belardetti ha pubblicato dal 1955 al 1999 l'Edizione nazionale delle opere di Savonarola in venti volumi divisi in più tomi. Tra i curatori delle opere si segnalano l'On.Giorgio La Pira, Roberto Ridolfi, Eugenio Garin, Luigi Firpo, Mario Martelli, Claudio Leonardi.
Citazioni
Appare nella ricostruzione storica a fumetti Cesare il creatore che ha distrutto di Fuyumi Sōryō.Appare nel videogioco della Ubisoft Assassin's Creed II dove però non vengono presentate le sue vicende storiche.
Savonarola viene citato nel film Non ci resta che piangere in cui Roberto Benigni e Massimo Troisi gli indirizzano la lettera scritta per liberare l'amico Vitellozzo. La scena riprende la nota lettera di Totò e Peppino.
È anche citato nel film Amici miei - Come tutto ebbe inizio.
Viene citato anche in una canzone di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, "Buon Sangue Non Mente"
Savonarola è presente nella serie televisiva di genere storico I Borgia, interpretato da Steven Berkoff.
Viene citato nel titolo e nella canzone di Eugenio Finardi "Come Savonarola".
Viene citato nella canzone di Caparezza "Io sono il tuo sogno eretico".
Nel film del 1996 "A spasso del tempo" nell'episodio il Rinascimento a Firenze compare Savonarola.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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