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Giuseppe Ferrari
(✶1811 †1876)
«Lo stesso procedimento che ci promette la certezza ci conduce al dubbio.»(Incipit di Filosofia della Rivoluzione, 1851)
Giuseppe Ferrari (Milano, 7 marzo 1811 – Roma, 2 luglio 1876) è stato un filosofo, storico e politico italiano.
Federalista, repubblicano, di posizioni democratiche e socialiste, fu deputato della Sinistra nel Parlamento italiano per sei legislature dal 1860 al 1876 e senatore del Regno dal 15 maggio al 2 luglio 1876.
Formazione
Nato a Milano da una famiglia borghese - il padre era medico - , dopo la morte dei suoi genitori, avvenuta quando era ancora giovane, poté godere di una piccola rendita grazie alla quale visse senza particolari problemi economici.
Ferrari fece i suoi studî nel ginnasio S. Alessandro, fu poi alunno dell'Almo Collegio Borromeo e si laureò in utroque iure a Pavia nel 1831. Fu però più interessato dalla filosofia, che coltivò nel cerchio della gioventù milanese che si riuniva attorno a Gian Domenico Romagnosi.
Gli anni in Francia
Giunto a posizioni irreligiose e scettiche, nutriva per la cultura filosofica, storica e politica francese un'ammirazione che nell'aprile 1838 lo portò a Parigi. Ferrari trascorse in Francia i successivi 21 anni. Il 27 agosto del 1840 sostenne l'esame di dottorato in filosofia alla Sorbona, con la presentazione di due tesi intitolate De religiosis Campanellae opinionibus e De l'Erreur, nella prima delle quali presentava positivamente il pensiero religioso di Tommaso Campanella, mentre nella seconda giungeva ad una conclusione scettica a proposito dei giudizî. Essi infatti non consentono di giungere alla verità assoluta in quanto essa è indissolubilmente intrecciata all'errore, così che si può dire che la verità sia un errore relativo e l'errore una verità relativa. Dal 1838 al 1847 collaborò regolarmente alla «Revue des Deux Mondes».
Introdotto nei circoli intellettuali della capitale francese da lettere di presentazione di Amedeo Peyron e Lorenzo Valerio (due allievi piemontesi di Cattaneo) e di Pierre-Simon Ballanche, Ferrari frequentò Victor Cousin, Augustin Thierry, Claude Fauriel, Jules Michelet e Edgar Quinet, come pure gli intellettuali e gli emigrati italiani che si riunivano nel salotto della principessa di Belgiojoso. Nel 1840 fu docente di filosofia al Liceo di Rochefort-sur-mer, e nel novembre di quell'anno richiese un permesso di residenza permanente in Francia, poi nel 1841 fu nominato professore supplente all'Università di Strasburgo dove, attaccato dalla Chiesa e dal partito cattolico per le affermazioni irreligiose e scettiche espresse nel suo corso sulla filosofia del Rinascimento e per la sua presentazione favorevole della Riforma luterana nel dicembre del 1841, fu anche accusato di insegnare dottrine atee e socialiste e sospeso dall'insegnamento nel 1842 e, benché avesse ottenuto la nazionalità francese e nel 1843 il titolo di "professore aggregato" di filosofia, che lo abilitava ad insegnare all'università, non fu più reintegrato nell'insegnamento universitario francese, poiché la raccomandazione di Edgar Quinet per una sua nomina a professore supplente al Collège de France nel 1847, benché accettata dalla Facoltà, fu rifiutata dal ministero dell'Educazione.
L'allontanamento dalla cattedra di Strasburgo fu all'origine del suo lungo rapporto con Proudhon che, avendo appreso il "caso Ferrari" dalla stampa, s'interessò a lui e ai suoi scritti e dette inizio ad un'amicizia che durò sino alla morte di Proudhon, nel 1865. A partire dal 1847 Ferrari fu tra gli avversari repubblicani della monarchia orleanista, con Victor Schoelcher e Félicité de Lamennais. Durante il sollevamento delle cinque giornate di Milano contro il governo austriaco nel marzo del 1848 fu accanto a Carlo Cattaneo ma, deluso dai risultati della rivoluzione, fece rientro in Francia, dove fece un altro tentativo infruttuoso (per l'opposizione di Victor Cousin) di ottenere una cattedra all'Università di Strasburgo. Da gennaio a giugno del 1849 insegnò la filosofia al Liceo di Bourges.
Il 2 dicembre 1851 avvenne il colpo di Stato che mise fine alla Seconda Repubblica francese e portò al trono Napoleone III; Ferrari, ricercato come repubblicano, si rifugiò a Bruxelles per sfuggire alla polizia.
Il ritorno in Italia
Pur conservando il suo appartamento a Parigi, Ferrari ritornò definitivamente a Milano a metà dicembre del 1859, per partecipare alle vicende che porteranno all'unificazione e alla nascita dello stato italiano.
Fu eletto deputato al Parlamento del Regno di Sardegna nel collegio di Luino nel 1859 (elezioni suppletive) e confermato nelle elezioni del 27 gennaio-3 febbraio del 1861 (eletto in secondo scrutinio nello stesso collegio di Luino, nel frattempo allargato a Gavirate). Confermato per quindici anni, Ferrari sedette ala Camera dei deputati sui banchi della Sinistra ininterrottamente per sei legislature, fino al 1876 (XII Legislatura). Nel 1870 (XI Legislatura) fu pure eletto nel primo collegio di Como, ma si mantenne fedele ai suoi primi elettori.
Attività parlamentare
Il suo programma politico può essere riassunto nella formula: " irreligione e legge agraria", cioè lotta contro la Chiesa e il clericalismo e riforma della proprietà terriera dei latifondi, con la distribuzione di terre coltivabili ai contadini. La Chiesa e i proprietari terrieri, sostenendosi a vicenda, erano per lui i nemici naturali dell'uguaglianza, non teorica ma concreta e reale.
Per quel che concerne la forma del nuovo stato italiano, Ferrari domandava una costituzione federale di tipo svizzero o statunitense, con un esercito, delle finanze e delle leggi federali comuni, ma anche con la più ampia decentralizzazione amministrativa possibile.
Nell'agosto del 1861, dopo essersi recato sul posto, scrisse una relazione parlamentare sul Massacro di Pontelandolfo e Casalduni.
Nel giugno del 1862, contro la sua volontà, Ferrari fu nominato dal re Cavaliere Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e rimandò immediatamente il decreto di nomina al ministro della Pubblica Istruzione, che glielo aveva inviato. Ma la nomina era irrevocabile, essendo stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale.
Nominato professore di filosofia della storia all'Accademia scientifico-letteraria di Milano, benché non ci fosse a quel tempo nessuna indennità parlamentare e i parlamentari non godessero di nessun beneficio, Ferrari rinunciò allo stipendio per poter rimanere in Parlamento pur continuando a insegnare. In Parlamento, Ferrari prese posizione in sede di discussione sull'intitolazione degli atti del governo, contro la denominazione di secondo, e non primo, re d'Italia, assunta da Vittorio Emanuele, a più riprese contro uno stato unitario, in favore di una costituzione federale e dell'autonomia delle regioni, in particolare del Mezzogiorno.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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