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Indro Montanelli
(✶1909 †2001)
Direttore del Giornale
Con il Giornale (il primo numero uscì martedì 25 giugno 1974), Montanelli intese creare una testata che esprimesse le istanze delle forze produttive della società, in particolare della piccola e media borghesia lombarda, inserendosi nel dibattito politico in guisa di interlocutore esterno alla politica, non schierato se non su orientamenti di massima e fautore di una destra ideale. L'iniziativa, in cui Montanelli ebbe l'opportunità di rappresentare con maggiore evidenza le proprie posizioni sempre poco conformiste e spesso originali, fu accolta con ostilità da gran parte del mondo della stampa nazionale e degli ambienti di sinistra. il Giornale si avvalse della collaborazione di diverse grandi figure del giornalismo italiano, fra cui Enzo Bettiza e, successivamente, Gianni Brera.La prassi giornalistica di Montanelli fu influenzata dal praticantato fatto negli Stati Uniti, tenendo presente la massima imparata alla United Press, vale a dire che ogni articolo deve poter essere letto e capito da chiunque, anche da un «lattaio dell'Ohio». Divenne membro onorario dell'Accademia della Crusca, per la quale si batté, sulle pagine del Giornale, cercando di coinvolgere direttamente i suoi lettori, così che uno dei più antichi e importanti centri di studio sulla lingua italiana non scomparisse.
Nel 1975, Montanelli troncò la quarantennale amicizia con Ugo La Malfa. Il motivo della rottura, avvenuta in seguito ad una violenta lite, fu la decisione, da parte del presidente del PRI, di sostenere il compromesso storico, ovvero il riavvicinamento fra DC e PCI. La lite sarebbe stata ricomposta solo nel 1979, pochi giorni prima della scomparsa di La Malfa.
Fra gli episodi che Montanelli ritenne a posteriori più importanti nella storia della sua conduzione del Giornale, vi furono due campagne, entrambe lanciate nel 1976. La prima fu la raccolta fondi lanciata a favore delle vittime del terremoto del Friuli, che in poche settimane raccolse tre miliardi di lire. I proventi, affidati al cronista Egisto Corradi, vennero usati per la ricostruzione dei comuni di Vito d'Asio e Montenars e della frazione di Sedilis, nel comune di Tarcento.
L'altra campagna fu l'invito a votare per la Democrazia Cristiana, lanciato alla vigilia delle elezioni politiche italiane del 1976. Dinanzi alla crescita del Partito Comunista Italiano, Montanelli sollecitò gli elettori moderati a impedire la salita al potere del partito di Berlinguer con uno slogan poi divenuto celebre:
«Turiamoci il naso e votiamo DC.»
(Frase originalmente detta da Gaetano Salvemini alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, come affermato dallo stesso Montanelli)
Sempre nel 1976, Montanelli fu contattato da Mike Bongiorno, che gli propose di condurre, sulla nascente rete televisiva Telemontecarlo, un notiziario curato dalla redazione del Giornale. La trasmissione, anch'essa intitolata Il giornale nuovo, ebbe un notevole successo nonostante gli scarsi mezzi tecnici a disposizione. Costato solamente cento milioni di lire, il telegiornale, registrato in uno scantinato a Milano, fece registrare un'audience di alcuni milioni di telespettatori. La popolarità della trasmissione fu accolta con ostilità dagli ambienti di sinistra: in particolare Eugenio Scalfari, direttore de la Repubblica, accusò TMC di essere una rete illegale, e alcuni pretori ne bloccarono le frequenze.
Per tutto il periodo della sua conduzione, Montanelli curò sul Giornale una rubrica quotidiana, intitolata Controcorrente, in cui commentava in modo sarcastico fatti e personaggi d'attualità. Su questa rubrica, fra l'altro, proseguì il duello a distanza, già iniziato sulle colonne del Corriere della Sera, con Fortebraccio, divenuto corsivista per l'Unità. I due giornalisti, di opposte ideologie (Fortebraccio era comunista) ma identica vis polemica, mascherarono in realtà sotto i reciproci attacchi una relazione personale di amicizia e stima, come testimoniato dall'ironico epitaffio che Mario Melloni dichiarò sull'Unità di volere per se stesso: «Qui giace Fortebraccio / che segretamente / amò Indro Montanelli. / Passante, perdonalo / perché non ha mai cessato / di vergognarsene». Montanelli, sul Giornale, replicò che avrebbe voluto essere seppellito a fianco del collega, sotto l'epitaffio: «Vedi / lapide / accanto».
Nel 1978, in seguito al sequestro di Aldo Moro e all'uccisione della scorta da parte delle Brigate Rosse, il Giornale si schierò fin dal primo giorno per la linea della fermezza, scrivendo:
«Naturalmente noi facciamo i più fervidi voti perché la sua tragica avventura si concluda nel modo migliore. Ma al cittadino italiano non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo offrire lo spettacolo di uno Stato che contratta il proprio prestigio, la propria autorità, i propri doveri con la criminalità ideologizzata solo quando è in gioco la sopravvivenza di uno dei suoi esponenti. Quanto più alti siano questi esponenti, tanto più è doveroso che essi soggiacciano alla regola comune: coi terroristi non si tratta.»
(Indro Montanelli, Faccia a faccia, il Giornale nuovo, 17 marzo 1978.)
Durante i 55 giorni Moro non fu mai torturato o minacciato dalle BR, e a tal proposito Montanelli criticò severamente le lettere scritte dal presidente democristiano durante la prigionia, affermando che «tutti a questo mondo hanno diritto alla paura. Ma un uomo di Stato (e lo Stato italiano era Moro) non può cercare d'indurre lo Stato ad una trattativa con dei terroristi che oltre tutto, nel colpo di via Fani, avevano lasciato sul selciato cinque cadaveri fra carabinieri e poliziotti».
Altre critiche furono rivolte a Eleonora Chiavarelli, vedova di Aldo Moro diventata accusatrice della DC e della classe politica italiana pochi anni dopo l'omicidio del marito:
«C'era [...] qualcosa di trionfalistico nel tono con cui questa vedova nera della politica parlava dei politici e nel perentorio gesto con cui puntava il dito contro tutti. Tutti, eccettuati coloro che le hanno ammazzato il marito. Contro di essi [...] non ha sporto accuse, non ha pronunciato condanne, non li ha nemmeno guardati. Fosse dipeso da lei, il processo ai terroristi sarebbe diventato il processo alla Dc, di cui suo marito era presidente, al governo di cui suo marito era l'artefice e garante, e ai servizi di sicurezza di cui suo marito era stato l'affossatore.»
(Indro Montanelli, La vedova nera, il Giornale nuovo, 23 luglio 1982.)
Quando venne fuori l'elenco degli appartenenti alla P2, pur criticandone l'attività e le persone che vi avevano aderito, non condivise le accuse golpiste rivolte alla loggia, considerando Licio Gelli un «golpista da operetta» e affermando:
«L'idea che ministri, parlamentari, generali, ammiragli, ambasciatori, prefetti, magistrati, professionisti, imprenditori, giornalisti, tutta gente di grido, abbiano preso sul serio un personaggio come Gelli e accettato di fargli da valletti nella P2, mi sgomenta. Se questo è il Gotha italiano, figuriamoci il resto. Secondo me meritano davvero la galera. Non per associazione a delinquere, come dicono gl'inquirenti, ma per baggianeria e sconsideratezza.»
(Indro Montanelli, Se questo è il gotha, il Giornale nuovo, 22 maggio 1981.)
Nel corso degli anni Montanelli lanciò una campagna giornalistica contro la candidatura di Venezia per l'Expo 2000 (voluta dal socialista Gianni De Michelis e ritirata nel 1990), appoggiò i referendum abrogativi a favore della preferenza unica e del sistema maggioritario (prendendo a modello il sistema elettorale francese a doppio turno) e nel 1991 sostenne la partecipazione dell'Italia nella Guerra del Golfo per la liberazione del Kuwait (invaso dall'Iraq), promuovendo un appello a favore dei militari italiani presenti nel Golfo e criticando i pacifisti.
Alle elezioni politiche italiane del 1992 (le prime dalla fine della guerra fredda) invitò i lettori del Giornale a votare una rosa di nomi favorevoli alle riforme elettorali: furono individuati 150 «pattisti» tra DC, PRI e PLI. Pur essendo critico nei confronti delle Leghe riconobbe che erano «un fenomeno di reazione a una provocazione» dovuto alla partitocrazia e alla politica nazionale che amministrava malissimo i soldi pubblici e al ballottaggio delle elezioni comunali del 1993 invitò gli elettori milanesi a votare per Marco Formentini, candidato leghista considerato meno lontano dai moderati rispetto a Nando dalla Chiesa, sostenuto da una coalizione di sinistra, dando per certa la sconfitta dei candiati centristi al primo turno.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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