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Leonardo Sciascia
(✶1921   †1989)

I contatti con la cultura francese

In questi anni aumenta i suoi viaggi a Parigi e si intensificano i contatti con la cultura francese.

Nel 1979 pubblica "Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia", dove è chiaro il riferimento al "Candido" di Voltaire.

Esce in quell'anno "Nero su Nero", una raccolta di commenti ai fatti relativi al decennio precedente, "La Sicilia come metafora", un'intervista di Marcelle Padovani e "Dalle parti degli infedeli", lettere di persecuzione politica inviate negli anni cinquanta dalle alte gerarchie ecclesiastiche al vescovo Patti, con il quale inaugura la collana della casa editrice Sellerio intitolata "La memoria" che festeggia nel 1985 la centesima pubblicazione con le sue "Cronachette".

Nel 1980 pubblica "Il volto sulla maschera" e la traduzione di un'opera di Anatole France, "Il procuratore della Giudea".

Nel 1981 pubblica "Il teatro della memoria" e, in collaborazione con Davide Lajolo, "Conversazioni in una stanza chiusa".

Nel 1982 esce "Kermesse" e "La sentenza memorabile", nel 1983 "Cruciverba", una raccolta di suoi scritti già pubblicati su riviste, giornali e prefazioni a libri.

Pubblica nel 1984 "Stendhal e la Sicilia", un saggio per commemorare la nascita dello scrittore francese.

Gli ultimi anni di vita

In quegli stessi anni gli fu diagnosticato il mieloma multiplo. Sempre più spesso fu costretto a lasciare la Sicilia per Milano per curarsi ma egli continua, sia pure con fatica, la sua attività di scrittore.

Nel 1985 pubblica "Cronachette" e "Occhio di capra", una raccolta di modi di dire e proverbi siciliani, e nel 1986 "La strega e il capitano", un saggio per commemorare la nascita di Alessandro Manzoni.

Carichi di tristi motivi autobiografici sono i brevi romanzi gialli "Porte aperte" del 1987, "Il cavaliere e la morte" del 1988 e "Una storia semplice", ispirato al furto della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi del Caravaggio, che uscirà in libreria il giorno stesso della sua morte.

Nel 1986 Sciascia scrive a Bettino Craxi, comunicandogli di aver votato per il PSI nelle elezioni regionali siciliane di quell'anno ed invitando il leader socialista a favorire il ricambio della classe dirigente siciliana del partito.

Nel 1987 cura una mostra molto suggestiva, all'interno della Mole Antonelliana a Torino, dal titolo "Ignoto a me stesso" (aprile-giugno). Erano esposte quasi 200 rare fotografie scelte da Leonardo Sciascia e concesse in originale da importanti istituzioni di tutto il mondo. Si tratta di ritratti di scrittori famosi, dai primi dagherrotipi ai giorni nostri, da Edgar Allan Poe a Rabindranath Tagore a Gorkij a Jorge Luis Borges. Il catalogo viene stampato da Bompiani e oltre il saggio di Sciascia "Il ritratto fotografico come entelechia" contiene 163 ritratti e altrettante citazioni dei relativi scrittori. La chiave della mostra è forse la citazione di Antoine de Saint-Exupéry:

«Non bisogna imparare a scrivere ma a vedere. Scrivere è una conseguenza»

Una delle sue ultime battaglie politiche fu in difesa di Enzo Tortora (suo amico di lungo corso, vittima di errore giudiziario e divenuto anch'egli un militante radicale) e il sostegno dato ad Adriano Sofri, accusato nel 1988 dell'omicidio Calabresi (Sciascia chiese anche che si facesse finalmente luce sulla morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli del 1969).

Pochi mesi prima di morire scrive "Alfabeto pirandelliano", "A futura memoria (se la memoria ha un futuro)", che verrà pubblicato postumo, e "Fatti diversi di storia letteraria e civile" edito da Sellerio.

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La morte

Leonardo Sciascia muore a Palermo il 20 novembre 1989 e chiede i funerali in Chiesa, per "non destare troppo scandalo" attorno alla famiglia a Racalmuto. Con lui nella sua bara la moglie e gli amici vollero mettere un crocifisso d'argento, simbolo che egli rispettava, pur non essendo un credente in senso stretto (ma nemmeno ateo: «mi guidano la ragione, l’illuministico sentire dell’intelligenza, l’umano e cristiano sentimento della vita, la ricerca della verità e la lotta alle ingiustizie, alle imposture e alle mistificazioni», scrisse) e avendo spesso dichiarato opinioni anticlericali e razionaliste. Al funerale viene ricordato da numerose parole di stima, fra cui quelle del grande amico Gesualdo Bufalino.

È sepolto nel cimitero di Racalmuto, suo paese natale; sulla lapide bianca una sola frase:

«Ce ne ricorderemo di questo pianeta»
(Epitaffio sulla tomba di Sciascia, la citazione è di Auguste de Villiers de L'Isle-Adam)

Il senso di una frase simile su una tomba è apparso poco "laico e agnostico" a molti, paventando una conversione religiosa di Sciascia, ma è stata vista anche come segno di speranza e di rimpianto. Su un manoscritto, conservato dalla famiglia, Sciascia scrive:

«Ho deciso di farmi scrivere sulla tomba qualcosa di meno personale e di più ameno, e precisamente questa frase di Villiers de l'Isle-Adam: "Ce ne ricorderemo, di questo pianeta". E così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano.»
(Leonardo Sciascia)

L'attività giornalistica di Sciascia

Oltre all'attività letteraria, Sciascia ebbe anche un'intensa esperienza giornalistica, scrivendo per numerosi giornali e riviste italiane.

In particolare Sciascia collaborò sin dal 1955 con il quotidiano palermitano L'Ora - il primo articolo, del 23 febbraio 1955, è dedicato al poeta dialettale catanese Domenico Tempio - scrivendo sulle pagine culturali e tenendovi una rubrica fissa, il Quaderno, tra 1964 e il 1968.

«L'Ora sarà magari un giornale comunista, ma è certo che mi dà modo d'esprimere quello che penso con una libertà che difficilmente troverei in altri giornali italiani. In quanto al mio essere di sinistra, indubbiamente lo sono: e senza sfumature.»
(Leonardo Sciascia, 3 aprile 1965)

Su Il Corriere della Sera la sua collaborazione è alterna: dal 1969 al 1972. Se ne allontana “simbolicamente” il 10 gennaio 1987, giorno della pubblicazione dell’articolo sui professionisti dell’antimafia.

Su La Stampa suoi articoli compaiono già dal 1972, ma collabora col quotidiano torinese più assiduamente dopo aver "rotto" con Il Corriere della Sera. Collabora anche con Malgrado Tutto, piccolo periodico di Racalmuto, su cui Sciascia scrive fin dalla fondazione.

Intanto nel 1967 ha pubblicato l'antologia (curata con Salvatore Guglielmino) Narratori di Sicilia dove ha scritto nell'introduzione che "il carattere essenziale della letteratura narrativa siciliana è il realismo" e, nel 1971 gli Atti relativi alla morte di Raymond Roussel che ricostruiscono gli ultimi giorni a Palermo dello scrittore francese, dove il suo convincimento che la letteratura non sia un oggetto esterno rispetto alla realtà va aumentando, per poi insistere sullo stesso tema soprattutto tramite La scomparsa di Majorana (1975), L'affaire Moro (1978) e Nero su nero (1979).

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La polemica sull'antimafia

«La mafia si combatte non con la tensione delle sirene, dei cortei e della terribilità. La mafia si combatte col diritto.»
(Intervista del 1983)

Sul Corriere della Sera il 10 gennaio 1987, Sciascia pubblicò l'articolo "I professionisti dell'antimafia" (titolo non scelto da lui, che avrebbe voluto I rischi dell'antimafia), nel quale stigmatizzava fortemente il comportamento di alcuni magistrati palermitani del pool antimafia, definendoli "eroi della sesta", i quali a suo parere si erano macchiati di carrierismo, usando la battaglia per la rinascita morale della Sicilia come titolo di merito all'interno del sistema delle promozioni in magistratura. In particolare, nel bersaglio dello scrittore finì il giudice Paolo Emanuele Borsellino perché vincitore del concorso per l'assegnazione del posto di Procuratore della Repubblica di Marsala, non per ragioni di anzianità di servizio, ma per specifiche e particolarissime competenze professionali nel settore della malavita organizzata, maturate sul campo, che gli venivano riconosciute dal CSM e gli valsero il superamento in graduatoria di altri magistrati; comunque, in seguito, Borsellino e Sciascia si chiarirono. Critica è anche la visione verso una giustizia di tipo inquisitorio:

«Il 1984 di Orwell può anche, da noi, assumere specie giudiziaria. Ce ne sono i presentimenti, gli avvisi... La democrazia non è impotente a combattere la mafia. Ha anzi tra le mani lo strumento che la tirannia non ha: il diritto, la legge uguale per tutti, la bilancia della giustizia. Se al simbolo della bilancia si sostituisse quello delle manette, come alcuni fanatici dell'antimafia in cuor loro desiderano, saremmo perduti irrimediabilmente. Come nemmeno il fascismo c'è riuscito.»

Dopo la pubblicazione dell'articolo Sciascia, da sempre simbolo della lotta alla mafia, fu bersagliato dagli attacchi di molte personalità della cultura e della politica che prima lo avevano elogiato, e venne isolato dalle maggiori forze politiche, eccezion fatta per i Radicali ed i Socialisti. L'associazione Coordinamento Antimafia, che dallo scrittore venne definita «una frangia fanatica e stupida», lo tacciò d'essere un quaquaraquà «ai margini della società civile» e Marcelle Padovani, sulle colonne del Nouvel Observateur, accusò Sciascia di avanzare «misere polemiche» a causa del suo «incoercibile esibizionismo». Sciascia è stato criticato anche di recente dallo storico Paolo Pezzino, il quale afferma che lo scrittore fosse legato alla vecchia immagine del mafioso come "uomo d'onore" e che quindi non fosse in grado di percepire la reale pericolosità della mafia moderna.

In realtà Sciascia, ispirato dalla sua concezione fortemente garantista e avversa ai processi mediatici e sommari, ravvisava il pericolo di un ritorno ai metodi di Cesare Mori durante il fascismo (ispirandosi alla critica contenuta in un libro di Christopher Duggan e riprendendo, come già si intuisce dalle riflessioni del capitano Bellodi ne Il giorno della civetta, il motto di Girolamo Li Causi "né mafia né Mori") e temeva, come già con le leggi speciali negli anni di piombo, una possibile involuzione autoritaria della Sicilia e del Paese. Questa sua concezione era anche estesa all'intero diritto penale, in quanto lo scrittore era un deciso sostenitore dello stato di diritto e avverso a ogni procedura "inquisitoria". Contemporaneamente alla critica verso gli eccessi dell'antimafia professionista, continua il suo impegno civile di testimone contro la mafia, venendo intervistato da Mauro Rostagno, il sociologo assassinato nel 1988.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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