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Marco Minghetti
(✶1818 †1886)
Membro del comitato bolognese della Società nazionale italiana, nel 1856 scrisse per Cavour un memorandum sullo stato delle province pontificie da presentare al Congresso di Parigi, per meglio mettere in evidenza l'arretratezza del governo pontificio. Frattanto proseguiva il suo impegno civile e letterario: nel 1857 fu tra i fondatori della Banca delle quattro legazioni, mentre l'anno dopo diede alle stampe il suo lavoro più famoso, Dell'economia pubblica e delle sue attinenze con la morale e con il diritto, che ebbe largo successo in Italia e in Europa. All'inizio del 1859, dopo aver ottenuto la cittadinanza sarda, Minghetti fu nominato da Cavour segretario generale del ministero degli Esteri, con il compito di aggiornare il primo ministro sulle faccende interne italiane. Dopo le dimissioni di Cavour l'11 luglio 1859, in seguito all'armistizio di Villafranca che pose fine alla seconda guerra d'indipendenza, divenne il 3 settembre presidente dell'Assemblea delle Romagne, convocata per preparare l'annessione delle nuove province al Regno di Sardegna. Il 22 aprile 1860, in seguito alle elezioni parlamentari indette per far entrare i deputati dell'Italia centrale nel nuovo Parlamento subalpino, Minghetti risultò eletto nel suo collegio, venendo sempre riconfermato fino alla XVI legislatura.
Il governo del Regno d'Italia
Successivamente, il 1º novembre 1860 fu ministro degli Interni con Cavour, rimanendovi anche dopo la proclamazione del Regno d'Italia il 17 marzo 1861, e, dopo la morte del conte il 6 giugno, nel governo di Ricasoli. In veste ministeriale, Minghetti propose già in aprile un progetto di decentramento amministrativo del nuovo Stato (progetto appoggiato anche da federalisti come Giuseppe Montanelli), che avrebbe permesso un maggiore rispetto delle realtà locali, ma che fu bocciato dopo un mese di serrate discussioni dal Parlamento italiano, timoroso delle possibili spinte secessionistiche che il decentramento avrebbe provocato, oltre alle pretese di centralizzazione del ministero Ricasoli. Dimessosi il 1º settembre 1861 per queste divergenze, Minghetti ritornò alla politica attiva l'8 dicembre 1862, come ministro delle Finanze con Luigi Carlo Farini. Quando questi fu colpito da infermità mentale, il 24 marzo 1863 gli succedette nella carica di Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia, mantenendo il dicastero delle Finanze.
Il nuovo gabinetto dovette affrontare due gravi problemi: il brigantaggio postunitario, che flagellava le province meridionali, e gli attriti con la Francia di Napoleone III per la Questione romana. Per risolvere il primo problema, venne approvata il 15 agosto 1863 la Legge Pica, proposta dal deputato abruzzese Giuseppe Pica, che sospendeva le garanzie costituzionali nelle province infestate dal brigantaggio e affidava ai tribunali militari la giurisdizione sui briganti catturati: questa legge rimase in vigore fino al 31 dicembre 1865.
In politica estera, facendosi forte della decisa azione italiana contro la spedizione di Garibaldi all'Aspromonte (29 agosto 1862), Minghetti fu in grado di negoziare un favorevole accordo con la potenza protettrice del Papa, la Francia, stipulato a Parigi il 15 settembre 1864 e detta perciò Convenzione di settembre. All'interno della Convenzione con la Francia, che prevedeva il ritiro della guarnigione francese da Roma entro due anni previa assicurazione italiana del potere temporale del papa, il governo Minghetti incluse la clausola dello spostamento della capitale da Torino a Firenze, suscitando sdegno e costernazione sia nel re che nella popolazione torinese. A seguito della brutale repressione delle pacifiche manifestazioni popolari di protesta, che provocò oltre 50 morti e centinaia di feriti tra Piazza Castello e Piazza San Carlo, Vittorio Emanuele II costrinse con un telegramma Minghetti a dimettersi dal governo.
Rientrato in Parlamento come semplice deputato, il 13 maggio 1869 fu nominato dal nuovo primo ministro Luigi Federico Menabrea ministro dell'Agricoltura, del Commercio e dell'Industria; in tal veste Minghetti chiamò esponenti tecnici di primo piano a collaborare al suo dicastero, come Luigi Luzzatti, varando anche un'inchiesta industriale e una agraria, i cui risultati, pubblicati un decennio più tardi, cambiarono la veduta politica dell'economia italiana dal liberismo al protezionismo. Dopo la caduta del ministero, Minghetti si diede alla carriera diplomatica, venendo nominato il 24 agosto 1870 ministro plenipotenziario a Vienna, dove rimase dieci mesi, seguendo la posizione del governo austriaco sulla Questione romana a seguito della Presa di Roma. Fra l'altro, dopo la conquista dell'Urbe, con l'appoggio di Quintino Sella e di Ruggiero Bonghi riformò l'Accademia Nazionale dei Lincei sul modello dell'Institut de France.
Fu infine nuovamente presidente del Consiglio tra il 10 luglio 1873 e il 25 marzo 1876, succedendo a Giovanni Lanza. Durante questa legislatura, Minghetti favorì il riavvicinamento di Vittorio Emanuele II agli Imperi centrali, seguendo il sovrano nei suoi viaggi ufficiali a Vienna e a Berlino e venendo ricompensato per questo, il 5 giugno 1874 con la più alta onorificenza sabauda: il Collare dell'Annunziata. In politica interna si trovò in disaccordo con la Destra, alla quale nonostante tutto apparteneva: motivo del contendere era la rigorosa politica fiscale che perseguì e che portò al pareggio di bilancio, annunciato il 16 marzo 1876.
Minghetti fu anche propugnatore dell'invio di una legazione commerciale in Cina e in Giappone e la creazione di contatti diplomatici con i due Paesi asiatici.
Tuttavia, paradossalmente, fu proprio il pareggio di bilancio che segnò la sua caduta: due giorni dopo, infatti, dopo l'annuncio del raggiunto risanamento finanziario, Minghetti fu battuto alla Camera, allorché l’on. Giovanni Battista Morana presentò una mozione parlamentare contro la tassa sul macinato. Minghetti chiese il rinvio della discussione della mozione a dopo l’esame del disegno di legge sulle convenzioni ferroviarie, ponendo nel contempo il voto di fiducia. La Camera respinse la richiesta di Minghetti, che pertanto si dimise.
Fu la cosiddetta "rivoluzione parlamentare", che portò alla caduta della Destra e alla salita al potere di Agostino Depretis, capo indiscusso della Sinistra: Minghetti fu così l'ultimo primo ministro di Destra dell'Italia liberale.
Gli ultimi anni
Pur rimanendo in Parlamento come leader dell'opposizione conservatrice, Minghetti non ricoprì più incarichi ministeriali, dedicandosi più che altro ai suoi studi, ma distinguendosi, durante l'era del trasformismo, ad una riforma morale dello Stato. Fu questo anche un periodo di feconde pubblicazioni, di cui resta memorabile l'opera Stato e Chiesa, edita a Milano nel 1878, in cui si propugna la necessità di una netta separazione tra il potere temporale e spirituale. Si fece in seguito promotore di un riavvicinamento tra Destra e Sinistra, votando a favore, ad esempio, delle prime leggi sociali del governo Depretis o l'allargamento del suffragio tramite la riforma elettorale del 1882. Dal 1880 fu maestro di latino della regina d'Italia Margherita di Savoia, moglie del nuovo sovrano Umberto I, con la quale intrattenne una fitta corrispondenza epistolare che durerà fino alla morte e che sarebbe stata pubblicata a Milano nel 1947 con il titolo Lettere fra la regina Margherita e marco Minghetti 1882-1886.
Marco Minghetti morì infine a Roma il 10 dicembre 1886, a 68 anni; la sua salma fu trasportata nella natia Bologna su un treno imbandierato a lutto, e tumulata il 16 dicembre nella Certosa della città, dopo il cordoglio generale in Piazza Maggiore da parte della cittadinanza.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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