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Roberto Ardigò
(✶1828   †1920)


«L'inconoscibile di oggi è il conosciuto di domani.»
(Roberto Ardigò)

Roberto Felice Ardigò (Casteldidone, 28 gennaio 1828 – Mantova, 15 settembre 1920) è stato uno psicologo, filosofo e pedagogista italiano.

Roberto Felice Ardigò nacque a Casteldidone, in provincia di Cremona, il 28 gennaio 1828, da Ferdinando Ardigò e Angela Tabaglio. A causa delle difficoltà economiche della famiglia, un tempo agiata, si dovette spostare a Mantova, dove il padre trovò lavoro presso i cognati. La madre era profondamente religiosa, mentre il padre sostanzialmente indifferente in materia. Egli ne avrà sempre profondo rispetto e un forte legame, come anche con la sorella.

Studi teologici

Studiò a Mantova, per poi iscriversi nel 1845 al liceo del Seminario vescovile. Nel 1848 ottiene un posto gratuito nel seminario di Milano, ma in seguito ai moti risorgimentali é costretto a rientrare a Mantova. Il suo successivo tentativo di arruolarsi nell'esercito di Guglielmo Pepe è frustrato da una febbre malarica che lo colpisce alla vigilia della battaglia di Goito. Proseguì poi gli studi teologici. Dopo la morte dei genitori, fu accolto a casa sua da Mons. Luigi Martini, rettore del Seminario mantovano. In quegli anni il Seminario era investito dalla congiura patriottica che porterà al supplizio dei Martiri di Belfiore, dei quali ben tre erano sacerdoti, tra cui il leader della congiura Don Enrico Tazzoli, insegnante presso lo stesso Seminario.

Ardigò fu infine ordinato sacerdote il 22 giugno 1851.

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L'insegnamento positivista, la sospensione e la scomunica

Nel 1870 pubblicò La psicologia come scienza positiva e nel 1876 tentò di istituire presso il Liceo di Mantova, dove insegnava, un Gabinetto per le ricerche psicologiche.

Nel metodo di insegnamento, poi, privilegiava il personale e diretto coinvolgimento degli allievi, sollecitandoli al libero dialogo, con una attenta analisi di brani critici e dei filosofi, cosa non troppo gradita alle gerarchie ecclesiastiche e al Ministero dell'Istruzione.

Già preda di una crisi religiosa molto forte, che lo portò infine a divenire ateo, tutta questa polemica lo condusse appunto a smettere l'abito ecclesiastico nel 1871, a 41 anni, dopo aver aderito ormai completamente alle posizioni positiviste ed evoluzioniste, che andavano nettamente in contrasto ai dettami della Chiesa cattolica del tempo, e aver attaccato apertamente il dogma dell'infallibilità papale.

Alla fine, Ardigò venne anche scomunicato, ultimo atto della polemica contro la Chiesa di cui aveva fatto parte.

Professore universitario

In totale insegnò storia della filosofia all'Università di Padova per 28 anni dal 1881. Considerato tra i padri della psicologia scientifica italiana per aver promosso una concezione scientifica della psicologia, concepì una complessa teoria della percezione e del pensiero che non ebbe completa dimostrazione sperimentale. Nel 1882 Ardigò svolse uno dei suoi maggiori esperimenti in campo psicologico sperimentale, sulle condizioni dell'adattamento visivo su prismi ottici. Diverse furono le materie che insegnò nei lunghi anni d'insegnamento universitario fino alla data del 1º giugno 1909 quando fu collocato a riposo. Fu, altresì, preside della facoltà di filosofia e lettere dal 1899 al 1902.

Il 31 maggio 1908 divenne socio dell'Accademia delle scienze di Torino.

Il 16 ottobre 1913 fu nominato senatore del Regno ma fu impossibilitato a raggiungere Roma per il giuramento.

Durante la sua vita elogiò Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, criticò la massoneria (in quanto la riteneva non necessaria in uno stato ormai libero) ed espresse idee fortemente repubblicane.

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Ultimi anni e suicidio

Negli ultimi anni di vita, isolato dall'ambiente intellettuale, ma non dai suoi discepoli più stretti, soffrì di gravi problemi fisici e depressivi (acuiti dalla morte della sorella Olimpia, che viveva a casa sua, nel 1907), che lo condussero a un primo tentativo di suicidio a Padova nel 1918 (dopo aver appreso della disfatta di Caporetto e della morte di molti giovani italiani), fallito perché la ferita non era grave, ma che si sarebbe ripetuto il 27 agosto 1920, questa volta riuscendo nel suo intento: Ardigò morì infatti suicida all'età di 92 anni nella sua ultima sistemazione a Mantova a casa Nievo, abitazione che era stata di Ippolito Nievo. Si autoinflisse una ferita colpendosi con un rasoio (o una roncola) arrugginito alla gola. Le testimonianze dell'epoca riferiscono che venne trovato seduto alla scrivania, con la barba bianca del tutto sporca di sangue (barba che gli fu tagliata dai soccorritori ed è tuttora conservata come cimelio nella sala blindata della Biblioteca di Mantova); soccorso dai medici, perse comunque conoscenza dopo aver ribadito le sue intenzioni, e morì due settimane dopo, il 15 settembre.

Ricezione dell'opera di Ardigò

Il tragico atto finale della sua vita venne usato dai suoi detrattori - clericali o neoidealisti - per screditare il positivismo in declino o visto come un gesto di demenza senile, e non come un atto di un uomo ormai stanco a livello psicofisico, che aveva dato tutto e vissuto la sua lunga vita secondo coscienza, quale in effetti era. D'altra parte, seppur il sistema di Ardigò non era anti-idealistico, furono gli idealisti ad attaccarlo filosoficamente, seguiti dai marxisti di inizio secolo, come Antonio Gramsci, talvolta paragonandolo agli esiti più deleteri del positivismo, come l'antropologia criminale di Cesare Lombroso (risultata poi non scientifica), determinando l'oblio parziale delle sue opere, tra i maggiori libri filosofici tra il periodo illuminista (con l'esclusione delle opere filosofiche di Giacomo Leopardi) e il neoidealismo di Croce e Gentile. Con lo sviluppo del positivismo logico e la riscoperta del positivismo, si è avuta una lenta rivalutazione di Ardigò, il maggiore esponente italiano del movimento, assieme a Maria Montessori e, come lei, tra i fondatori della pedagogia e della psicologia moderna, oltre che uno dei maggiori pensatori laici della cultura italiana tra XIX e XX secolo.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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