Cavaliere e... cavaliere
Un cortese lettore di Lamezia Terme (CZ) — che desidera conservare l’anonimato — ci ha inviato una squisitissima elettroposta con la quale ci rimprovera di avere abbandonato la trattazione dell’origine di alcune parole di uso comune e dal significato... recondito. Per farci perdonare la mancanza ci suggerisce di parlare dell’origine dei cavalieri.
Perché, per esempio, si domanda (e ci domanda) il gentile lettore, l’uomo che fa coppia con una donna in un giro di danza si chiama cavaliere. Quale relazione intercorre tra il cavalcare e il danzare? Lo accontentiamo subito.
Dobbiamo prendere, però, il discorso alla lontana e risalire all’istituzione medievale della Cavalleria in cui militavano, solitamente, i figli cadetti (non primogeniti) esclusi da tutta o gran parte dell’eredità. Il termine cavaliere aveva, in origine, due distinti significati: colui che andava a cavallo e giovane nobile — escluso dall’eredità — che militava nella Cavalleria.
Le tradizioni di questa nobile istituzione (la Cavalleria) volevano che i suoi adepti si mettessero al servizio di tutte le cause importanti, tra le quali l’ossequio e la protezione della dama, che — con solenne giuramento, all’atto dell’investitura — ogni cavaliere si impegnava di onorare e di scortare per difenderla dalla violenza e dalle eventuali offese.
Allorché la Cavalleria, come nobile istituzione, morì, rimase vivissimo nel cuore di tutti — nobili e popolani — il ricordo delle antiche gesta e degli altissimi ideali di cortesia e di civiltà per cui il termine cavaliere, come semplice appellativo, mantenne due accezioni distinte ma strettamente legate alla comune origine: a) nobile appartenente al primo gradino dell’araldica nobiliare (cavaliere, barone, conte, marchese, duca, principe); b) persona dall’animo nobile e di sentimenti generosi e rispettosi verso la donna (dama), al cui servizio si mette come gli antichi cavalieri medievali. Con tutta probabilità, quindi, quando chiamiamo cavaliere il “danzatore”, cioè l’uomo che fa coppia con una donna nel ballo, ci rifacciamo alla seconda accezione.
Al primo significato, invece, debbono essersi riallacciati i nostri legislatori quando hanno scelto il titolo di cavaliere da conferire a un cittadino — qualunque sia la sua condizione economica e sociale — come riconoscimento di merito: è la nobiltà (non di sangue) che ciascuno di noi si conquista con il lavoro, la probità, la dedizione ai grandi ideali. Il cavalierato attuale, insomma, è un titolo nobile che non si acquisisce per nascita e non si tramanda ai propri discendenti.
Tutti sappiamo, per esempio, che il nostro Paese concesse il titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto ai superstiti della Grande Guerra in segno di riconoscenza della Nazione verso coloro che sacrificarono la giovinezza e arrischiarono la vita per la difesa e l’indipendenza della Patria.
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