Parlare a vanvera
Ci scrive Mario R. da Taormina: « Stimatissimo dott. Raso, seguo sempre, e con vivo interesse, le sue istruttive noterelle sul buon uso della lingua italiana. Le scrivo per una curiosità: perché si dice “parlare a vanvera”? Grazie e distinti saluti ».
Gentilissimo Mario, le confesso che non lo so, anzi, non lo sapevo. Le riporto una spiegazione che ho trovato cercando nella rete; non so, quindi, quanto questa fonte possa essere attendibile.
L'espressione compare per la prima volta nel 1565 in un testo dello storico fiorentino Benedetto Varchi e significa dire cose senza senso o senza fondamento. Sulla sua provenienza si sono fatte molte ipotesi.
Alcuni studiosi, ad esempio, fanno notare che la radice di vanvera assomigli a quella di vano. Altri ritengono che la parola derivi dal gioco della bambàra , una locuzione, forse di origine spagnola, con la quale s'intendeva una perdita di tempo. Origini contrastanti.
E se a rinforzare questa tesi c'è il fatto che in certe zone della Toscana si dica proprio parlare a bambera , alcune contraddizioni cronologiche e altri piccoli indizi sembrerebbero smentirla seccamente. Per questa ragione, oggi gli etimologisti sono più propensi a credere che vanvera sia una variante di fanfera , una parola di origine onomatopeica che vuol dire cosa da nulla : fanf-fanf, infatti, riproduce il suono di chi parla farfugliando e, appunto, senza dire niente di sensato.
Le segnalo, anche, ciò che dice il vocabolario etimologico di Ottorino Pianigiani.
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