No e non pari non sono
Gli avverbi di negazione no e non hanno usi nettamente distinti; non si possono adoperare a capocchia o ricorrendo al lancio della monetina: testa no, croce non.
Il primo (no) appartiene alla schiera delle così dette parole olofrastiche, dal greco όλος (hòlos, intero) e φράζω (phràzo, dichiaro), le quali riassumendo in sé un’intera frase debbono essere sempre isolate e in posizione accentata; non debbono, cioè, essere seguite da altra parola: vieni o no? Risulta evidente, dall’esempio, che il no è olofrastico in quanto sottintende (e la riassume) la frase o non vieni?.
Il secondo avverbio (non) non si può mai trovare in posizione accentata (cioè assoluto, da solo), si deve sempre adoperare in posizione proclitica, vale a dire prima di un’altra parola che necessariamente lo deve seguire: vieni o non vieni?
A questo punto vediamo — per maggiore chiarezza — che cosa significa posizione proclitica. Si dicono proclitiche, dal greco πρό (pro, davanti, prima), quelle particelle atone che si appoggiano nella pronuncia (quindi nell’accentazione) alla parola che segue.
Sono proclitiche, ad esempio, tutte le particelle pronominali messe prima del verbo in quanto si pronunciano unite al verbo: Giovanni mi ha parlato.
Non seguite, quindi, le malelingue della carta stampata e no che scrivono e dicono, per esempio: amici e non; gli addetti ai lavori e non; cantanti e non; esperti e non e simili. Tutti questi non sono errati e vanno sostituiti con no per la legge linguistica su menzionata.
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