La gran gala
Quanto stiamo per scrivere — siamo certi — non avrà l’approvazione di qualche linguista, anche perché quasi tutti i vocabolari ci contraddicono. Ma, come sempre, andiamo dritti per la nostra strada, convinti della bontà della nostra tesi. Tutti gli organi di stampa, ma non solo, quando fanno la cronaca di qualche ricevimento importante parlano del gran gala, mascolinizzando un sostantivo che maschile non è.
No, cortesi amici, chi ama il bel parlare e il bello scrivere deve dire (e scrivere) la gran gala deve, cioè, rispettare il sesso del sostantivo, che non è prettamente di origine italica ma ispanico-francese. Vediamo, dunque, come è nato il termine che le signore dell’alta società dovrebbero conoscere.
La gala (femminile), dall’antico francese gale, non è, infatti, un ornamento di seta o altro che si mette ai vestiti e ai cappelli delle donne? Non avete mai sentito dire, per esempio, che quella donna indossava una gonna con una gala tutt’in giro?
Questa gala, dunque, si mette sui vestiti che si indossano in occasioni solenni, tanto è vero che il vocabolo ha acquisito l’accezione, generica, di lusso, sfarzo.
Per gli amanti delle date possiamo dire che la gala è giunta a noi attorno al 1200. Con il trascorrere del tempo il termine è approdato in Spagna e ha assunto, per estensione, il significato di festa, ricevimento perché la gala si mette in particolari occasioni di festa e con questo nuovo significato il vocabolo è tornato a noi nel 1700.
Coloro che dicono il gala sottintendono, eventualmente, ricevimento (ricevimento di gala) ma, ripetiamo, chi ama la lingua non deve dare ascolto alla permissività di alcuni vocabolari che ammettono la forma maschile: il gran gala.
Altri ancora fanno di peggio accentando la “a” finale: galà. Gli amatori della buona lingua sono avvertiti...
Dalla nostra parte, fortunatamente, abbiamo molti libri.
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