L'incesso e il buono
Due parole, due, su un aggettivo e un sostantivo: "buono" e "incesso". Cominciamo dal secondo, che, anche se di uso "alto", lo eviteremmo per motivi di assonanza con l' "incesto" e con il... "cesso".
Vediamo l'incesso, dunque, secondo il "Treccani": "incèsso s. m. [dal lat. incessus -us, der. di incedĕre «incedere»], letter. – L’incedere, il camminare, e più spesso il modo di camminare (indica sempre un portamento e un passo solenne, dignitoso): avanzare con i. regale; aveva l’i. di una dea".
Questo sostantivo, dunque, non molto comune, sta per "modo di camminare", "portamento". Consigliamo di adoperare, al suo posto, l'infinito sostantivato "incedere" per le ragioni suddette: Luigi aveva un incedere solenne.
Quanto all'aggettivo "buono", tra le varie accezioni ha anche quella di 'capace': Giovanni è l'unico buono (capace) a fare questo tipo d'intervento. In questo significato si costruisce meglio con "a" che con "di". Alcuni scrittori, tuttavia, preferiscono l'uso della preposizione "di". Tra questi Natalia Ginzburg: "Non era buona di andare in bicicletta".
E a proposito di "buono", interessante la "nota d'uso" di "Sapere.it":
· L’aggettivo al maschile (buono) subisce troncamento in buon (senza apostrofo) davanti a vocale o a consonante seguita da vocale o da l o r (buon amico, buon padre, buon prodotto). La forma dell’aggettivo al femminile (buona) si elide di rado in buon’ (con l’apostrofo) davanti ad a (buon’amica) e ancora più raramente davanti a un’altra vocale.
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