Fare come il caval del Ciolle

Per la spiegazione di questo modo di dire (probabilmente poco conosciuto) ricorriamo — come facciamo di tanto in tanto — a una storiella.
Il ragionier Frullini desiderava ardentemente avanzare di grado nell'ufficio in cui prestava la sua opera. Ogni mattina, quindi, si recava nella stanza del capo del Personale con la speranza di ricevere la buona novella, e ogni mattina il dr Piani — questo il nome del dirigente — lo congedava con belle parole e tante promesse.
«Vede, ragioniere, lei è insostituibile, conosce il suo lavoro meglio di altri, se la rimuovo dall'incarico che svolge attualmente per 'promuoverla' — come lei desidera e come giustamente merita — mi ritrovo l'ufficio esportazioni privo di un capo 'carismatico' quale lei è. Abbia ancora un po' di pazienza, aspetti che il suo collaboratore abbia imparato bene le mansioni per le quali è stato assunto poi, glie lo prometto, il posto di dirigente aggiunto, resosi vacante, sarà suo».
Dopo queste bellissime parole, Frullini lasciava la stanza del suo superiore contento e 'ringalluzzito', e riprendeva serenamente il suo lavoro in attesa del 'grande salto'. Questa scena si ripeteva — come abbiamo visto — tutte le mattine, da diversi mesi. Gli impiegati lo avevano soprannominato, per questo, il cavalier del Ciolle perché si comportava come il suo cavallo: si accontentava di tante parole senza approdare a nulla.
Per l'origine dell'espressione chiediamo aiuto a Benedetto Varchi, che nel suo 'Ercolano' cosí scrive: «Di quelli che si beccano il cervello, sperando vanamente che una qualche cosa debba loro riuscire e ne vanno cicalando qua e là, si dice che fanno come il caval del Ciolle, il quale si pasceva di ragionamenti, come le starne di monte Morello di rugiada»

17-09-2018 — Autore: Fausto Raso