Andare in oca
Quel giorno il prof. Siliconi peccò proprio di narcisismo linguistico — sbalordendo i suoi alunni — quando disse di non aver portato i componimenti di italiano, che aveva corretto a casa, perché era andato in oca. Per non tediarvi oltre diciamo subito, gentili amici blogghisti, che questo idiomatismo significa dimenticarsi, scordarsi.
Alcuni insigni Autori lo fanno derivare — ma noi, francamente, non vediamo il nesso e l'origine del modo di dire resta, sempre per noi, sconosciuta — dall'antico gioco dell'oca.
Questo si svolge tra più persone con due dadi e un cartellone dove sono disegnate, a spirale, da 63 a 90 caselle numerate; il punto segnato dai due dadi lanciati indica il numero delle caselle che il giocatore percorre in ogni giro; determinate caselle — particolarmente quelle che recano la figura di un'oca — comportano alcuni vantaggi, altre impongono soste e retrocessioni. Vince il giocatore che arriva primo alla casella finale.
Restando in tema di oche c'è da dire che non tutti sanno — forse — che questa parola adoperata come termine di similitudine, con evidente allusione alla proverbiale goffaggine, stupidità e rumorosità dell'oca, appunto, può essere riferita anche a un uomo: Giovanni è proprio un'oca!
In senso figurato, quindi, si dice che una persona (uomo o donna, dunque) è un'oca quando si vuole mettere in evidenza la limitata intelligenza e cultura, ma soprattutto la superficialità e presunzione.
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