La concretezza
A scuola ci hanno insegnato che la differenza tra il concreto e l’astratto sta nel fatto che nel primo caso si dice di ciò che può essere verificato con i sensi, quindi è percettibile, vero; nel secondo caso, invece, di ciò che pur esistendo non può essere percepibile in quanto è semplicemente una nozione comune come, per esempio, la virtù e la benevolenza.
A questo proposito è interessante vedere – ripercorrendo l’evoluzione della lingua – come alcuni vocaboli che in origine indicavano solamente nozioni materiali oggi siano atti a esprimere i concetti più astratti.
Esaminiamo il verbo pensare: questo non è altro che il verbo latino che voleva dire pesare; da una cosa concreta è passato a indicarne una astratta: non diciamo, del resto, pesare il pro e il contro di una determinata faccenda?
E che cosa significa comprendere se non accogliere in noi un pensiero? Scrutando il verbo capire (dal latino capere, prendere, contenere, accogliere) si vede bene il passaggio dal significato concreto a quello astratto: accogliere nella nostra mente un concetto, quindi... capirlo. In origine questo verbo indicava solamente una cosa concreta, tant’è vero che ancora oggi si parla di capienza di un locale; poi, anche in latino, ha acquisito l’accezione di intendere.
L’ambivalenza concreto-astratto si nota meglio in un altro termine, figlio di capire: capace. Diciamo, infatti, che un recipiente è molto capace e che un ragazzo è capace di risolvere il problema; nel primo caso abbiamo capace nel significato concreto di contenere, nel secondo in quello astratto di avere attitudini.
Il verbo riflettere palesa ancor più facilmente la sua antica origine: non significa altro che... riflettere, vale a dire ripiegarsi su sé stesso. Chi riflette, dunque, ripiega la mente su sé stesso, vale a dire rivolge l’attenzione sui fatti interni della vita psichica o alla attività e ai contenuti del pensiero.
Il passaggio dal valore concreto a quello astratto si riscontra, con maggiore evidenza, nelle espressioni concentrarsi nei propri pensieri, raccogliersi in meditazioni. Insomma vogliamo dire, con queste modeste noterelle, o meglio, desideriamo mettere bene in evidenza il fatto che nel parlare o nello scrivere usiamo alcuni termini che i nostri antenati latini adoperavano con accezioni diverse da quelle odierne e solo un’attenta analisi ci rimanda al significato originario.
Una prova? Molte fra le parole più astratte di quelle che esprimono concetti matematici, a un attento esame, rivelano i loro significati originari che erano, per l’appunto, concreti. Vediamo. Il punto, quando è nato, non era altro che il segno lasciato da una... puntura (di insetti, per esempio); la linea, presa come simbolo della figura geometrica, è il femminile dell’aggettivo derivato da lino che è, propriamente, un filo di lino. Per non parlare dell’arco o della corda del cerchio che ci riportano a immagini materiali, quindi concrete.
Pensiamo anche alle numerose unità di misura – usate prima della rivoluzione francese - cioè al pollice, al braccio, al piede, al cubito e via dicendo: ciascuna di queste misure si riferiva alla lunghezza delle parti del nostro corpo che fin dalla notte dei tempi erano state adoperate come unità.
Vogliamo dire, insomma, che in lingua il confine tra astratto e concreto è quanto mai labile. Si pensi, a questo proposito, all’aggettivo amaro: un caffè amaro e un ricordo amaro; o al verbo inghiottire: si può inghiottire un cibo come si può inghiottire una calunnia. E a proposito di questo verbo, che presenta una doppia coniugazione (inghiotto o inghiottisco), è bene adoperare la forma non incoativa (cioè senza l’inserimento dell’affisso “isc” tra il tema e la desinenza) quando è in senso metaforico: non hai paura che il buio ti inghiotta?
Insomma, per concludere questa chiacchierata, cortesi amici, la lingua italiana – come tutte le lingue moderne – tende a una sempre maggiore astrazione, e lo fa nascondendo quei tratti salienti che le lingue antiche ancora ci mostrano e che erano stati coniati con evidente riferimento agli oggetti del mondo circostante.
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