Parole, parole...
Da questo portale spendiamo, ogni giorno, fiumi e fiumi di parole (scritte, ovviamente) ma non abbiamo mai speso una parola per parlare della.... parola. Vogliamo rimediare e vedere, quindi, che cosa è questa parola.
Se apriamo un qualsivoglia vocabolario della lingua italiana possiamo leggere: «Gruppo di suoni con cui si indica un oggetto o si esprime un’idea; la loro rappresentazione grafica». Non siamo soddisfatti però, perché ancora non conosciamo il significato intrinseco del termine e la sua origine.
Questa volta il latino classico non ci viene in aiuto — come nella maggior parte dei casi — perché nella lingua di Cicerone la parola era chiamata verbum (il verbo, infatti, è la parola per eccellenza). Dobbiamo rifarci al tardo latino — quello della Chiesa — dove incontriamo la parabola, divenuta in seguito paravola, connessa con i termini greci πάρα βάλλω (para balo, getto presso), quindi paragono, vale a dire faccio una comparazione.
La parabola si può definire, infatti, un «paragone, un racconto allegorico a sfondo morale». Basti pensare alle parabole evangeliche. In origine, per tanto, la parabola era un insegnamento, un discorso morale. Con il trascorrere del tempo, per attenuazione del significato originario acquisì l’accezione di detto, motto e, per estensione, qualsiasi voce articolata (fonema) esprimente un concetto, una... parola, appunto, e si sostituì al latino verbum che si volle evitare per il significato sacro, attribuitogli nel Vangelo, di Messia, vale a dire la parola fatta carne. Lo stesso verbo parlare non è altro che il latino parabolare (raccontare parabole).
E sempre a proposito di parole, ci sono quelle piene e quelle vuote. Quante volte vi sarà capitato di sentir dire: «Quell’oratore ha tenuto un discorso di parole vuote»; ha parlato ma non ha detto nulla. Che cosa sono, dunque, le parole vuote? Sono parole prive di... significato, al contrario di quelle piene, ovviamente piene di... significato.
Vediamo ora, per sommi capi, i due gruppi di parole. Appartengono alla schiera delle parole piene: a) i verbi (lavorare); b) gli aggettivi (bello, questo); c) gli avverbi (sempre, domani); d) i numerali (ottavo, dodicesimo); e) i nomi in generale (amico, fratello, barbiere). Fanno parte delle parole vuote, invece, quelle che servono a sostituire o a collegare tra loro le parole piene di una proposizione, e precisamente: 1) i pronomi (io, che, quale); 2) le interiezioni (oh, mah, ohi); 3) le preposizioni (da, con, su); 4) le congiunzioni (e, se, ma); 5) gli articoli (il, la, un).
Concludiamo l’argomento con un pensiero di Francesco De Sanctis: «La parola è potentissima quando viene dall’anima e mette in moto tutte le facoltà dell’anima ne’ suoi lettori; ma, quando il dentro è vuoto e la parola non esprime che sé stessa, riesce insipida e noiosa».
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