Una folla irruenta
Due parole due su un aggettivo che buona parte dei vocabolari della lingua italiana dà per corretto (anche se con la dicitura meno comune o meno bene, come nel caso del DOP), mentre corretto non lo è affatto: irruento.
Anche in questo caso la stampa ha la sua buona parte di colpa in quanto avalla una parola che in buona lingua italiana non esiste. Leggiamo spesso, infatti, frasi del tipo «il signor Giuseppe lo apostrofò con tono irruento»; oppure «una folla irruenta si precipitò fuori dello stadio in cerca di scampo».
Ambedue le frasi sono errate perché il nostro idioma non contempla l’aggettivo irruento (con il relativo femminile irruenta).
Questo aggettivo, dunque, tanto bistrattato non appartiene alla schiera degli aggettivi della prima classe (come buono, per esempio) ma a quella della seconda classe (come facile) e ha un’unica desinenza, la -e, tanto per il maschile quanto per il femminile. Con un unico plurale, naturalmente, che è irruenti. Si dirà, per tanto, tono irruente e folla irruente. Perché?
L’aggettivo in oggetto discende dal participio presente latino irruente(m), derivante da irruere (irrompere, correre contro). È, quindi, un aggettivo derivato da un participio presente come, per esempio, volente che nessuno, crediamo (ma non si sa mai...), muterebbe in volento.
Perché, dunque, dobbiamo leggere quell’orribile irruento con l’altrettanto orribile femminile irruenta?
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