Vecchiarello? No, vecchierello
Da un giornale: «Arrestato un vecchiarello, spacciava». Questo titolo è tremendamente errato, il suffisso diminutivo è -erello, non -arello. La grafia corretta, dunque, è vecchierello.
La regola stabilisce, infatti, che occorre togliere la desinenza e aggiungere al tema della parola in questione i suffissi -erello, -erella, -erelli, -erelle, rispettivamente singolare maschile e femminile e plurale maschile e femminile.
Da vecchio, quindi, togliendo la desinenza -o resterà il tema vecchi- al quale aggiungeremo il suffisso -erello: vecchio, vecchi, vecchierello.
Un discorso a parte, invece, per quanto riguarda la tintarella, cioè l’abbronzatura della pelle che si ottiene con l’esposizione del corpo ai raggi solari.
Il linguista Carlo Tagliavini consiglia di non seguire la regola grammaticale: «Trattandosi di voce originariamente dialettale, usata con una sfumatura speciale scherzosa, ci sembra sia meglio lasciarle il suo carattere originario e non tentare di toscanizzarla in tinterella».
Un’altra eccezione è bancarella che ha preso il sopravvento sulla forma corretta bancherella grazie all’omonimo premio letterario.
Lo medesima norma grammaticale vale per acquarello la cui forma corretta è, infatti, acquerello (con la e). Alcuni dizionari ammettono, però, entrambe le grafie; noi consigliamo vivamente di attenersi alla regola: acquerello.
Altre perplessità nella formazione dei diminutivi riguardano i suffissi -etto, -etta, -etti, -ette quando nel tema della parola è presente la vocale i: ufficietto o ufficetto? Inutile, in questi casi, ricorrere al cosiddetto orecchio; la musica spesso (anzi, quasi sempre) non ci viene in aiuto. Togliamo subito il dubbio: senza la i, ufficetto.
Nella formazione del diminutivo la i — puro segno grafico — non occorre per conservare il suono palatale alla consonante c.
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