La luna e la sua lingua
Una lingua arricchisce il suo vocabolario non solo per i termini che riceve in prestito o in dono da altre lingue — gli americanismi che abbiamo visto ieri, per esempio — ma anche, e forse soprattutto, attraverso le voci che si formano spontaneamente (fenomeno che non sarebbe azzardato definire autogenesi linguistica), per derivazione spontanea, appunto.
Molto spesso da una sola radice (o tema) si forma un’intera famiglia di termini che, come le famiglie umane, possono essere scarse o numerosissime. Eccone una molto prolifica, quella della luna.
Da questo splendido satellite sono derivati — per “parto spontaneo” — gli aggettivi/ lunato/ e /lunante, /che significano, entrambi, “falcato”, vale a dire curvo come la falce della luna; /illune/, (dal latino ‘illunis’, formato da ‘in’ privativo e ‘luna’), cioè “senza luna”: notte illune; /lunatico/, cioè capriccioso, volubile e i sostantivi /novilunio/, /plenilunio/, l/unario/ e/ lunazione/, cioè il mese lunare di ventinove giorni, oltre a /lunedì /(dal latino ‘lunae dies’, giorno della Luna) e a /lunetta/, termine adoperato in architettura per indicare lo spazio semicircolare tra l’uno e l’altro piede delle volte.
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