Le scarpe

Due parole, due, sulle scarpe. La scarpa, usiamo il singolare, non è voce schiettamente italiana, sembra sia arrivata a noi dal germanico skarpa (tasca di pelle, sacca di pelle).

Le scarpe, infatti, a ben vedere, non sono una tasca in cui si infilano i piedi? Queste tasche hanno dato origine a molti modi di dire; citiamo i più comuni: non essere degno di lustrare le scarpe a qualcuno, vale a dire essere inferiore; rimetterci anche le scarpe, rovinarsi economicamente; mettere le scarpe al sole, morire di morte violenta (e improvvisa); essere una scarpa vecchia, essere, cioè, una persona considerata inutile; avere le scarpe che ridono, ossia scucite.

Quest'ultimo modo di dire, forse poco conosciuto, si spiega con il fatto che quando si cammina con le scarpe scucite il movimento del piede solleva la tomaia (la parte superiore della scarpa) dalla suola e le scarpe, quindi, sembrano... ridere.

09-10-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


L'ablutofobia

«Cortese dott. Raso,
per caso mi sono imbattuto nel suo meraviglioso blog: cercavo una regola grammaticale. Ho visto che risponde anche ai quesiti. Ne approfitto per sottoporgliene uno. Mio figlio, grandicello (10 anni), ha una tremenda paura dell'acqua; tutte le volte che deve fare il bagno sono... dolori: piange e si dimena. La domanda è: c'è un termine per indicare questa
malattia (paura del bagno)?
Ho consultato tutti i vocabolari in mio possesso senza venirne a capo perché, onestamente, non so che voce cercare. C'è, dunque, un termine che fa alla bisogna?
Grazie in anticipo.
Giovanni T.
Forlì
»

Sì, gentile Giovanni, c'è un termine, non registrato da tutti i vocabolari dell'uso perché prettamente scientifico: ablutofobia.
È un sostantivo femminile ibrido perché composto con il verbo latino abluere (lavare) e la voce greca φόβος fobos (timore, paura, panico), letteralmente significa paura di lavarsi.

08-10-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Alla carlona

Chi non conosce questo modo di dire che vale grossolanamente, alla buona, senza cura, in modo trasandato? Fare una cosa, insomma, senza impegno, approssimativamente, come viene: lavorare alla carlona, vestire alla carlona, studiare alla carlona.
Pochi, forse, ne conoscono l'origine. Vediamola assieme. Carlona, innanzi tutto, è l'adattamento italiano del francese Charlon, nome dato al re Carlomagno, detto, per l'appunto, re Carlone .
Con carlona si intendeva all'antica, alla patriarcale, alla buona in quanto Carlomagno veniva descritto, nei tardi poemi cavallereschi, come un uomo molto semplice, alla buona, quasi rustico.
Un aneddoto spiega magnificamente l'origine dell'espressione. Una mattina Carlomagno aveva invitato a una battuta di caccia — che amava moltissimo — il gotha dell'aristocrazia.
All'ora convenuta tutti i nobili si presentarono agghindati di tutto punto, con completi appena usciti dalle più note sartorie francesi; tutti, insomma, erano vestiti all'ultima moda.
Tra la sorpresa degli astanti, il buon Carlone si presentò, invece, vestito di un abito di taglio contadinesco e di stoffa molto rozza. Da quel momento si disse vestire alla carlona, per vestire alla buona e, in seguito, per estensione, nacque l'espressione fare le cose alla carlona, alla buona, appunto, senza il minimo impegno.

07-10-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink