Il sospetto...
«Nulla ispira a un uomo tanti sospetti quanto il fatto di saper poco». Questa massima di Francesco Bacone, capitataci, per caso, sotto gli occhi ci ha dato la stura per proseguire il viaggio attraverso la foresta del vocabolario italiano alla ricerca di parole di tutti i giorni, quelle che adoperiamo per pratica il cui significato nascosto non è noto a tutti. Il sospetto è una di queste parole.
Il significato scoperto, dunque, si può apprendere consultando un qualsivoglia vocabolario dell'uso e scoprire così che detto termine può essere tanto sostantivo quanto aggettivo e che è tratto dal verbo sospettare che significa dubitare, supporre, temere, ma l'accezione principe resta quella più conosciuta, vale a dire ritenere qualcuno colpevole di qualche misfatto, senza, tuttavia, alcuna prova certa: la polizia sospettava quell'uomo di essere l'esecutore dell'omicidio.
Questo, dunque, il significato scoperto; e quello nascosto, vale a dire il significato intrinseco della parola, del verbo? Per scoprirlo occorre rifarsi all'etimologia che ci rimanda al verbo latino suspectare, intensivo di suspicere, composto con su(b) (sotto) e specere (guardare), in senso proprio guardare dal basso.
Chi ha un sospetto, dunque, guarda la persona sospettata dal basso in alto e — in senso figurato — la guarda fissamente a lungo. Insomma, come fa notare Ottorino Pianigiani, «il sospettare sembra “quasi dica guardar sotto la veste per scoprirvi il pugnale nascosto, ma che invece ha il senso originale di “guardar dal basso in alto", presa la similitudine dalla fiera che a muso alzato fiuta il vento, o dal guardar sottecchi proprio di chi guarda con diffidenza».
Diffidare, infatti, non è sinonimo di sospettare, anche se meno “forte" di quest'ultimo? E la persona che sospetta non teme, non dubita, non prende ombra? Forse quasi nessuno dei nostri 25 lettori (rubiamo le parole al principe degli scrittori, Alessandro Manzoni) ha mai sentito parlare della topotesìa perché pochissimi vocabolari attestano questo termine.
Che cosa è, dunque? È un sostantivo femminile di origine greco-latina e vale descrizione di un luogo non reale, immaginario. È composto con le voci greche τόπος “topos" (luogo) e τίθημι “tithemi" (io colloco,metto, pongo)
Confarrare
Perché i lessicografi non rimettono a lemma nei vocabolari un bel verbo dal “sapore" aulico, vale a dire confarrare?
È un verbo denominale che significa unire in matrimonio. È tratto dal verbo latino confarreare e questo da farreum (farro).
Per una maggiore comprensione si veda anche qui e qui.
Apersero la porta
Apersero? Non si dice aprirono? Anche apersero.
Il verbo aprire (come ricoprire, scoprire, riscoprire, soffrire e altri che ora non ci sovvengono) nella 1ª e 3ª persona singolare e 3ª plurale del passato remoto presenta due forme: una forte e una debole.
La forma forte ha l'accentazione sulla radice: io apèrsi; quella debole sulla desinenza: io aprìi. Chi preferisce adoperare la forma forte e dire, per esempio, “tutti soffersero quella perdita", in luogo del più comune soffrirono, non può essere tacciato di ignoranza.
È solo questione di gusto stilistico.

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