Comprare una cosa per quattro palanche
Non sappiamo se questo modo di dire sia ancora in uso dato che le palanche sono in... disuso. E ci spieghiamo.
La locuzione - corrispondente a quella piú "moderna", 'per quattro soldi' - si adoperava, un tempo, per mettere in evidenza il fatto che si era riusciti ad acquistare qualcosa di prezioso a bassissimo prezzo.
Il detto si riferiva, soprattutto, a coloro che erano costretti a svendere un bene per "quattro palanche" a tutto vantaggio dell'acquirente. La palanca era, infatti, una moneta di pochissimo valore in uso in alcune regioni del nostro Paese, tra le quali la Repubblica Veneta.
Sotto il profilo prettamente etimologico la moneta in oggetto, che era di rame, non ha nulla che vedere con la "palanca" latina, cioè con una grossa trave, ha mutuato il nome dallo spagnolo "blanca" ('bianca').
Bagattella e bagatella
La parola del giorno (di ieri) dello Zingarelli, bagatella, si presta ad alcune considerazioni strettamente personali. La totalità dei vocabolari che abbiamo consultato riportano "bagatella" variante di "bagattella". La sola forma corretta "sarebbe" bagattella (con due 't).
Sostantivo femminile che sta per inezia, bazzecola, nonnulla e simili. Visto, però, che è in uso anche la forma "errata", faremmo un distinguo. Adopereremo bagattella (con due 't') quando vogliamo indicare una cosa di nessuna importanza, di scarso valore: lo studio è una cosa seria non una bagattella.
Useremo bagatella (con una 't') quando intendiamo parlare di un componimento musicale leggero, breve, di stile chiaro e facile. Sembra, infatti, che in questa accezione il termine sia pervenuto a noi dal francese "bagatelle".
Un'ultima notazione. Il sostantivo in questione si adopera, perlopiú, nella forma plurale e con senso ironico per indicare che ciò di cui si discute non è cosa di poco conto.
La stupidezza dell'insegnante
«Cortese dott. Raso,
la Befana mi ha fatto imbattere nel suo meraviglioso blog, che ho messo subito tra i preferiti. Le scrivo perché vorrei — con il suo permesso — mettere in risalto la stupidezza di alcuni docenti di materie letterarie che siedono in cattedra rovinando, anzi, distruggendo completamente le certezze linguistiche dei loro allievi. È il caso dell'insegnante di mio figlio (III media) che ha sottolineato e corretto con la fatidica matita blu un presunto errore.
L'insegnante, dunque, ha corretto la "stupidezza", parola adoperata da mio figlio, in stupidaggine. Mio figlio legge moltissimo, avrà trovato, quindi, il vocabolo errato, a detta dell'insegnante, in qualche autore. Confesso che anch'io ero convinto che tale termine non esistesse, ma con una rapida consultazione dei vocabolari in mio possesso ho dissipato ogni dubbio: stupidezza è termine correttissimo. La docente, prima di "sputare" sentenze, non avrebbe fatto meglio a documentarsi?
La ringrazio dell'ospitalità e le auguro un sereno 2014.
Beniamino T.
Lecce»
Gentile Beniamino, ho pensato molto prima di pubblicare la sua lettera. Ho deciso di farlo perché — come giustamente scrive — molti insegnanti "rovinano" la lingua dei loro allievi. Alcuni docenti, mi spiace dirlo, sono di una presunzione e di un'arroganza senza limiti. Proprio con uno di questi ho avuto, tempo fa, un battibecco circa il famoso "qual è".
Costui sosteneva che quale si apostrofa se il sostantivo che segue il verbo essere è di genere femminile: qual'è la tua penna? Non si apostrofa se il sostantivo è di genere maschile: qual è il tuo libro? Non avevo mai sentito simili "stupidezze".
Tornando all'insegnante di suo figlio, avrebbe potuto evitare la figuraccia se avesse consultato, come ha fatto lei, un buon vocabolario di lingua italiana. Avrebbe scoperto, infatti, che stupidezza, anche se di uso non comune, è sinonimo di stupidaggine e stupidità.
In alternativa avrebbe potuto fare un viaggetto in Rete.

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