Plurale dei nomi composti

Nomi composti con capo più un sostantivo. Li dividiamo in due categtorie, a seconda della funzione che ha la componente capo.
Prima categoria: capostazione. Qui capo ha funzione di soggetto.
Seconda categoria: capocronista. Qui capo ha funzione di semplice attributo.
Per capirlo, proviamo a ribaltare la parola. Ecco: capostazione non può diventare stazione-capo, mentre capocronista può diventare cronista-capo.

Noi daremo la forma plurale solo all’elemento principale del composto: nel primo caso a capo: i capistazione, nel secondo a cronista: i capocronisti. Qualche altro esempio della prima categoria: capoclasse, il capo della classe, caporeparto, il capo del reparto, e ancora capoturno, caposquadra, capotreno, caposervizio, capofamiglia, capodivisione, capofila, capoposto, caposezione. Il primo elemento è preminente, e lo metteremo al plurale: capiclasse, capireparto, capiturno, capisquadra, capitreno, capiservizio, capifamiglia, capidivisione, capifila, capiposto, capisezione. Se il nome è al femminile, la componente capo rimarrà invariata: le capostazione, le capoclasse, le caporeparto, le capoturno, le caposquadra, le capotreno eccetera.

Passiamo ora ad esempi della seconda categoria: capomacchinista: potremmo benissimo dire macchinista-capo. E così capotecnico, caporedattore, capocomico, capocuoco: qui è preminente il secondo elemento, e sarà questo solo che faremo plurale: capomacchinisti, capotecnici, caporedattori, capocomici, capocuochi. Seguono questa regola anche capoluogo, capolavoro, capoverso, capodanno che al plurale diventano capoluoghi, capolavori, capoversi, capodanni. Se il nome è al femminile, se ne farà regolarmente il plurale femminile: la capotecnica, le capotecniche; la capocomica, le capocomiche; la capocuoca, le capocuoche; la capomastra, le capomastre; la capocronista, le capocroniste; la caporedattrice, le caporedattrici eccetera.

Ora attenzione: caposaldo non segue queste regole e fa al plurale capisaldi perché non è il composto di capo più un sostantivo, ma di capo più un aggettivo: vedi al punto 3.

Per finire, a volte la parola capo viene dopo il nome cui si riferisce e si scrive separata: consigliere capo, redattore capo e simili. Qui capo, è “apposizione”, come se dicessimo “che è a capo”: consigliere, commesso, redattore “che è a capo” di altri consiglieri, di altri commessi, di altri redattori. Resta pertanto invariato nel plurale. Diremo perciò il consigliere capo e i consiglieri capo, il redattore capo e i redattori capo. Per la donna avremo la commessa capo, la redattrice capo, che pure rimangono invariate nel plurale: le commesse capo, le redattrici capo.

12-01-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Experto crede Roberto

L’espressione che avete appena letto, indubbiamente sconosciuta perché relegata nella soffitta della lingua, sta a significare che occorre dar credito alla persona che ha esperienza (e competenza) in una determinata materia. Il modo di dire – oggi non più adoperato, come si è detto – lo apprendiamo dal “re dei modi di dire”, Ludovico Passarini.

«Experto crede Roberto. M’è piaciuto rammentar questo proverbio il quale benché abbia la veste latina, può dirsi italianissimo per esser sulle bocche di tutti gl’Italiani, dotti e ignoranti. Nacque nelle scuole: e sia che fosse detto la prima volta da un Roberto vecchio insegnante, o che, a far la rima tanto amata nei detti sentenziosi e proverbiali, s’imponesse quegli il nome di Roberto; fatto è che divenne subito universale dettato per significare che deve credersi all’esperienza, che questa è in cima di tutti gl’insegnamenti; e chi non prova, non sa. Un povero giovine servitore si lamenta con un suo compagno di maggiore età intorno alle stranezze e a’ cattivi modi del loro padrone, e dice di volersene andare. Il compagno lo compatisce; e dicendogli che i padroni son tutti di una buccia e di un sapore, lo conforta a restare; e quale autorità sicura gli conclude, ‘experto crede roberto’. Cosí l’ ho sentito dir io in caso simile: e il vecchio servo volle dire: Credi a me, che ne ho mutati tanti di padroni; credi all’esperienza mia».

11-01-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Lo stratego e il patriota

Il vocabolario “Treccani” in rete attesta “stratego” come prima occorrenza, relegando al secondo posto la forma piú usata, “stratega”; per quando riguarda, invece, il lemma “patriota” riporta “patrioto” come voce antica o popolare. Ciò ci stupisce, e non poco, perché sul piano lessicale i due termini sono “alla pari”. Vi sono, infatti, dei sostantivi maschili che accanto alla desinenza “-a” assumono anche la desinenza “-o”. Abbiamo, cosí, il pilota e il piloto, lo stratega e lo stratego, il patriota e il patrioto. Perché, dunque, questa “discriminazione linguistica”? C’è da dire, però, che le forme in “-o” sono di uso letterario o popolare. Ciò non toglie che sul piano lessicale – come dicevamo - hanno pari dignità. Di questi allotropi (doppioni) il piú noto è – senza ombra di dubbio – il piloto per l’uso che ne hanno fatto i classici: «E se il piloto ti drizzò la nave» (Ugo Foscolo). Concludendo, si potrebbe dire che la terminazione in “-o” si può considerare una sorta di rivalsa sulla desinenza “-a” del maschile dei sostantivi come profeta, poeta, pianeta, teorema, tema e simili.

Etimo.it - stratego

Etimo.it - piloto

Etimo.it - patriotta, patriotto

10-01-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink