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Indro Montanelli
(✶1909   †2001)

Nel 1935 l'Italia fascista invase l'Etiopia. Montanelli si propose come inviato in zona di guerra, ma l'agenzia non acconsentì perché essendo italiano non avrebbe potuto essere obiettivo nelle sue corrispondenze, così lasciò la United Press e si arruolò volontario.

Partecipò alla guerra (iniziata nell'ottobre 1935) come sottotenente in un battaglione coloniale di Ascari (comandante di compagnia in seno al XX Battaglione Eritreo):

«Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di scuola. E, detto fra noi, era ora.»
(Indro Montanelli, ringraziando Benito Mussolini ("Gran Babbo"), nel raccontare la sua esperienza di comandante di una compagnia di Ascari durante la guerra d'Etiopia.)

La guerra di Montanelli durò solo fino a dicembre: fu ferito e dovette abbandonare i combattimenti. Durante la sua permanenza al fronte aveva iniziato a scrivere un libro-reportage, che diede alle stampe all'inizio del 1936, mentre era ancora all'estero. L'opera, XX Battaglione Eritreo, in maggio fu recensita favorevolmente da Ugo Ojetti (sul Corriere della Sera) e da Goffredo Bellonci; la sua tiratura raggiunse le 30.000 copie. Il padre di Indro, Sestilio, si trovava in Africa Orientale per dirigere una commissione di esami per militari e civili dell'esercito residenti nelle colonie. Intercesse presso il direttore del quotidiano di Asmara La Nuova Eritrea, Leonardo Gana, facendolo assumere. Montanelli ottenne così la tessera di giornalista. Nel gennaio 1936 fu trasferito dal XX Battaglione Eritreo al Drappello Servizi Presidiari e iniziò a prestare servizio presso l'Ufficio Stampa e Propaganda.

In Etiopia Montanelli, che all'epoca aveva 26 anni, ebbe una relazione di madamato con un'eritrea musulmana di 12 anni, Fatìma, comprata da un suo emissario a Saganèiti versando al padre la convenuta cifra di 500 lire; compresi nel prezzo ebbe anche un cavallo e un fucile.

«Vista l'usanza degli ascari di combattere con la moglie al seguito, decisi anch'io di sposarmi. I miei uomini mi procurarono una giovane e bellissima eritrea [...] In questo modo, ogni due settimane mi ritrovavo, al pari dei miei uomini, con i panni puliti.»

Questa "madama" lo seguì per l'intera permanenza in Africa. Prima del suo ritorno in Italia la cedette al generale Alessandro Pirzio Biroli, che la introdusse nel proprio piccolo harem.

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Redattore de La Nuova Eritrea, Montanelli scrisse un pezzo per Civiltà Fascista intitolato "Dentro la guerra":

«Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà.»
(Indro Montanelli, gennaio 1936, Civiltà Fascista)

Manlio Morgagni, direttore dell'Agenzia Stefani e fedelissimo di Mussolini, lo avrebbe voluto come corrispondente dall'Asmara, ma la trattativa non ebbe esito positivo. Quando il padre ritornò in Italia, Indro lo seguì.

Tornato in Italia nell'agosto 1936, Montanelli ripartì per la guerra civile spagnola come corrispondente per il quotidiano romano Il Messaggero, scrivendo articoli anche per L'Illustrazione Italiana e il neonato settimanale Omnibus di Longanesi. Le sue posizioni sulla spedizione in Spagna gli crearono seri problemi con il regime.

In un resoconto sulla battaglia di Santander diede descrizione della resa della guarnigione repubblicana iniziando con questo incipit: "È stata una lunga passeggiata militare con un solo nemico: il caldo."La sua simpatia per gli anarchici spagnoli lo portò ad aiutare uno di loro, che accompagnò fuori della frontiera; il gesto venne ricompensato da "El Campesino", capo anarchico della 46ª divisione nella Guerra di Spagna, con il dono di una tessera della Federación Anarquista de Cataluña di cui Montanelli si sarebbe fregiato per tutta la vita. Una volta rimpatriato, il minculpop, con l'intervento diretto di Mussolini, lo cancellò dall'albo dei giornalisti per l'articolo sulla battaglia di Santander, considerato offensivo per l'onore delle forze armate. Gli fu anche tolta la tessera del Partito, che poi nulla egli fece per riavere. Alla vigilia del processo con il quale avrebbe potuto essere condannato al confino, Montanelli raccontò di aver minacciato che in dibattimento avrebbe chiesto che venisse fatto il nome di un morto, uno solo; "e allora il processo non si fece più".

Per evitare il peggio, Giuseppe Bottai, allora ministro dell'Educazione nazionale e suo amico dai tempi dell'Etiopia, prima gli trovò in Estonia un lettorato di italiano nell'Università di Tartu, poi lo fece nominare direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Tallinn, la capitale. Come racconta in Pantheon Minore, a Tallinn, su richiesta del colonnello russo Engelhardt, Montanelli diede ospitalità alla moglie russa di Vidkun Quisling, che di lì a qualche anno sarebbe divenuto il capo del regime collaborazionista di Oslo, avendo modo in quell'occasione di conoscere anche il futuro fører di Norvegia.

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Gli anni della seconda guerra mondiale

Ritornato in Italia, entrò nel 1938 al Corriere della Sera grazie anche all'interessamento di Ugo Ojetti, che credeva nel suo talento giornalistico. Ojetti, ex direttore del Corriere, fece il suo nome ad Aldo Borelli, il direttore in carica, che l'incaricò di scrivere articoli di viaggi e letteratura, con la consegna di tenersi lontano dai temi politici

Montanelli fece l'inviato di guerra in giro per l'Europa. Nel 1939 fu in Albania, diventata quell'anno protettorato italiano; sarebbe stato Bottai a fare il suo nome a Galeazzo Ciano, indicandolo come la persona più adatta a raccontare la nuova conquista.

Tornato dall'Albania, seguì nell'agosto 1939 un gruppo di 200 giovani fascisti che partivano per un'impresa di ardimento consistente nel percorrere in bicicletta la Germania, da Sud a Nord, sino a Berlino, con la scorta di una colonna della Hitlerjugend. Fra le sue corrispondenze, ve ne fu una in cui si inventò che i ciclisti italiani si sarebbero fermati in Austria ad aiutare i coloni a mietere il grano.

Il 1º settembre 1939, mentre si trovava ancora in Germania, conobbe sul Corridoio di Danzica Adolf Hitler, alla presenza dello scultore Arno Breker e dell'architetto Albert Speer (che confermò poi, nel 1979, la veridicità di quell'incontro).

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Montanelli si recò al fronte. Oltre all'invasione della Polonia, assistette a quella dell'Estonia da parte dei sovietici. In Finlandia dall'ottobre 1939, fu appassionato testimone del tentativo d'invasione da parte dell'URSS; nei suoi articoli per il Corriere della Sera trasparve una forte propensione per la causa finlandese. Da quelle corrispondenze nacque I cento giorni della Finlandia. Dopo il trattato di pace di Mosca (12 marzo 1940), si spostò in Norvegia per seguire l'invasione del paese ad opera dei tedeschi. Poi in maggio rientrò in Italia (dal 29 gennaio era stato reintegrato nella redazione del Corriere della Sera con un regolare contratto di assunzione).

Con l'entrata in guerra dell'Italia (giugno 1940), Montanelli venne inviato in Francia e nei Balcani; poi gli fu assegnato l'incarico di seguire la campagna militare italiana come corrispondente dalla Grecia e dall'Albania. Raccontò di aver scritto poco, per malattia ma soprattutto per onestà intellettuale: il regime gli imponeva l'obbligo di propaganda, ma sotto i suoi occhi l'esercito italiano subiva seri danni.

Decise di rimpatriare nel 1942 per sposarsi con l'austriaca Margarethe De Colins De Tarsienne, che aveva conosciuto nel 1938 (l'unione si concluse con la separazione nel 1951).. Dal 1942 al 1943 scrisse sul settimanale Tempo sotto lo pseudonimo di "Calandrino".

Nel 1943 visse il disfacimento dell'8 settembre e si associò al movimento Giustizia e Libertà. Ma prima che riuscisse ad unirsi effettivamente alle formazioni combattenti, fu scoperto dai tedeschi.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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