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Massimo d'Azeglio
(✶1798   †1866)

Le nuove sfide

Gli anni passavano e Massimo, che non era più rivestito di alcun incarico politico, propendeva per una vita sempre più ritirata dalla cosa pubblica, pur continuando a parteciparvi con emozione e interesse. L'estate del 1856 lo vide più libero e con maggior tempo a disposizione, sicché riuscì a soggiornare nell'amata Firenze e a rivedervi i numerosi amici che vi abitavano.

Intanto, era nata a Torino una rivista, il Cronista, cui d'Azeglio cominciò a licenziare con cadenza regolare i suoi Racconti, leggende, ricordi della Vita italiana, dove ricordava eventi e personaggi cui era stato legato, abbozzando già un proposito autobiografico che troverà sbocchi ben più importanti negli anni appresso.

Fu proprio sulle pagine del Cronista che d'Azeglio fece apparire in ottobre un commosso ricordo dell'amico Giacinto Collegno, scomparso il mese prima. Con lui aveva perso «il solo amico nel quale avessi fiducia assoluta, ed al qual potessi domandare un consiglio ne' casi difficili».

Sempre nell'estate del 1856 cominciò la costruzione di una villa a Cannero, sul lago Maggiore, dove poter trascorrere periodi di tranquillità lontano dalla vita cittadina. Già in primavera aveva comprato un vasto appezzamento di terreno, cosicché pochi mesi dopo iniziarono i lavori. L'edificio, composto da due piani, fu definito dal Nostro una «Cartagine sorgente», un luogo, come scrisse al nipote Emanuele, «dove al caso possa da un giorno all'altro trovar ricetto, se un motivo qualunque m'obbligasse a dar un calcio alle grandezze umane».

Quanto fosse restìo ad addossarsi nuove responsabilità politiche parve chiaro al suo ritorno a Torino, nel mese di novembre. Cavour gli propose di trasferirsi a Firenze in qualità di Ministro sardo presso la Corte granducale, ma d'Azeglio rifiutò. Al suo posto ricevette la nomina Carlo Boncompagni. Nuovi malanni intanto scossero la fragile salute di Massimo, colpito dalla gotta durante il rigido inverno che seguì. Per questo motivo dovette trascorrere l'estate successiva un mese a Évian, sulla sponda francese del lago di Ginevra, per poter beneficiare della acque alcaline. Nonostante la prospettiva di soggiornare in compagnia di «una brigata di Ginevrini, gente seccante a grado superlativo», non lo allettasse affatto, e nonostante si fosse informato sulla possibilità di farsi curare in Toscana, dovette alla fine rassegnarsi e recarsi sul lago Lemano (1857).

Tra commissioni artistiche - dipinse nel 1858, per volere del sovrano, un quadro raffigurante l'entrata di Vittorio Amedeo II di Savoia a Taormina nel 1714 - e prolungati soggiorni a Cannero d'Azeglio godette ancora per qualche mese della tranquillità agognata, prima di tornare nuovamente in azione. Rimase il tempo per soddisfare un desiderio coltivato da anni: recarsi a Siena a vedere il Palio. Così, appassionato di cavalli, ammirò la corsa all'inizio di luglio del 1858, e poi fece tappa ad Antignano e Firenze.

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Venne il capodanno del 1859, e gli eventi che porteranno nel giro di due anni all'unità nazionale cominciarono a prendere una direzione precisa. Napoleone III ruppe con l'Austria, suscitando una vasta eco in Italia. D'Azeglio era a Firenze, sempre intenzionato a restare ormai in disparte, ma le novità lo indussero a tornare in azione. Il 13 gennaio Francesco Arese lo avvisava della possibile invasione austriaca del Piemonte. Il 18 il Nostro lasciò Firenze, dopo aver scritto a Cavour manifestandogli la propria adesione. Quel giorno, a Torino, la Francia firmava il trattato con cui si impegnava a intervenire in difesa dei piemontesi qualora fossero stati invasi dalle forze austriache. Il Presidente del Consiglio accolse naturalmente con favore le parole azegliane, e non tardò a fargli sapere in una missiva del 21 come Vittorio Emanuele fosse altrettanto lieto di una sua nuova discesa in campo.

Il pretesto per scendere a Roma e sondare segretamente la situazione fu offerto dal conferimento del Collare dell'Ordine Supremo della SS. Annunziata a Edoardo, figlio della regina Vittoria d'Inghilterra e principe ereditario. Azeglio, che aveva trascorso un mese a Genova, partì alla fine di febbraio. Il 24 giunse a Livorno, poi fece tappa a Siena, quindi arrivò a Roma, ospite dell'Hôtel d'Angleterre. Il 5 marzo, si legge nei diari privati del principe inglese, «il Marchese d'Azeglio, celebre uomo di Stato e soldato del Regno di Sardegna venne a darmi l'investitura del Collare dell'Annunziata in nome del Re di Sardegna, che mi aveva fatto l'onore di conferirmelo».

A Roma fu ricevuto anche dal pontefice Pio IX, cui portò i saluti di Vittorio Emanuele, e chiuse così gli impegni ufficiali che lo avevano portato nell'Urbe. Ora, «in visite di società ... andava mascherando la parte del cospiratore». Nel frattempo Napoleone andava perdendo interesse per la causa italiana, e il colloquio che Cavour riuscì a ottenere il 29 marzo con l'imperatore e il ministro degli Esteri Walewski non produsse l'effetto sperato. Cavour, allora, decise di seguire il consiglio di Emanuele d'Azeglio, allora ambasciatore sardo a Londra. Il nipote di Massimo suggerì di inviare lo zio in missione diplomatica a Parigi e Londra. Il 1º aprile d'Azeglio viene raggiunto a Roma da un dispaccio di La Marmora che «all'una dopo mezzanotte» lo richiama urgentemente a Torino, dove il sovrano lo vuole vedere prima possibile per comunicargli l'importante incarico.

Di nuovo nella città natale, d'Azeglio si affrettò a scoprire il motivo dell'urgente chiamata, ricevendo da Vittorio Emanuele l'ordine di partire per Parigi – e poi per Londra – in qualità di Inviato Speciale e Ministro Plenipotenziario. Nel frattempo, Cavour manifestava al nipote del Nostro le ragioni che lo avevano spinto a designarlo per la missione. Nel succitato colloquio con l'imperatore francese, infatti, Napoleone III «ha citato brani di libri di Azeglio» e lo stesso Walewski «ha invocato alcune volte l'autorità di lui per sostenere la sua opinione». Il Primo Ministro arrivava così ad affermare che la scelta era caduta sull'«autore ed il padre della questione italiana».

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Era tuttavia il soggiorno in Inghilterra a interessare di più: Cavour e Vittorio Emanuele avevano la chiara percezione che lì si giocasse la partita italiana, che, portati gli inglesi dalla loro parte, la situazione sarebbe migliorata notevolmente. Per questo, quando il Ministro degli Esteri inglese Lord Malmesbury manifestò il desiderio che d'Azeglio venisse a Londra senza passare dalla Francia, il 14 Cavour fece avere all'Inviato Speciale un sollecito, una missiva in cui gli chiedeva di affrettare l'andata oltre la Manica. Il giorno successivo d'Azeglio era in viaggio verso la Savoia. Arrivò a San Giovanni di Moriana, da dove prese il treno per Parigi, città in cui giunse il 16 aprile.

Vi rimase soltanto due giorni, ma fu sufficiente per adempiere alla propria funzione. Scrisse in francese un documento che imponeva all'Austria il disarmo preventivo, ricevendo il giorno seguente l'approvazione dell'imperatore. La sera del 17 era già in Inghilterra. Percepì verso l'Italia un'ostilità palpabile, ma non discendeva da una prevenzione diretta, bensì dal recente riavvicinamento con i francesi, cui Londra guardava con sospetto. D'Azeglio fu comunque ricevuto con tutti gli onori dalla regina, che lo invitò amichevolmente a pranzo.

La congiuntura politica cominciava a volgere a favore dell'Italia: il progressivo allentarsi delle diffidenze inglesi e le contemporanee minacce austriache sono viste come una manna. Era indubbiamente il momento migliore per essere attaccati, potendo schierare due grandi potenze al proprio fianco. Le parole che d'Azeglio scrive il 23 a Cavour sono in questo senso molto chiare: «La sommation de l'Autriche, juste au moment où notre conduite nous rendait les Benjamins de l'Angleterre, a été un de ces ternes à la loterie qui n'arrivent qu'une seule fois en un siècle» (L'intimazione austriaca, contemporanea alle simpatie che la nostra condotta riscuoteva in Inghilterra, è stata una di quelle fortune che capitano una sola volta in un secolo).

L'11 luglio 1859 ebbe l'incarico di costituire un governo provvisorio a Bologna, dopo la cacciata delle truppe pontificie. Il 25 gennaio 1860 venne nominato Governatore della Provincia di Milano, carica che tenne fino al 17 marzo 1861, allorquando fu nominato prefetto Giulio Pasolini.

Durante la sua vita politica continuò comunque a dedicarsi alle sue passioni, la pittura e la letteratura, quest'ultima sia in veste di scrittore politico che di romanziere. Da gaudente, il nobile Massimo si guadagnò, fra le dame di corte, una certa reputazione, mentre Francesco De Sanctis descrisse la sua attitudine come «un certo amabile folleggiare... pieno di buon umore».

Queste connotazioni non posero tuttavia in secondo piano le sue doti di politico con la capacità di intravedere sia i limiti della riunificazione («Pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani»), sia della dirigenza sabauda (lasciò la scuola di cavalleria per i contrasti con l'aristocrazia) e che propose una sua soluzione personale sia dal punto di vista costituzionale (stato federale), sia da quello economico (liberale).

Gli ultimi anni

Durante gli ultimi anni di vita, trascorsi sul lago Maggiore, si dedicò alla stesura delle sue memorie, pubblicate postume con il titolo I miei ricordi nel 1867.

Massimo D'Azeglio morì a Torino nel 1866, e le sue spoglie sono conservate nella parte storica (porticato) del Cimitero monumentale di Torino.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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