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Ugo Foscolo
(✶1778   †1827)

L'esordio teatrale e il Piano di Studj (1795-1797)

Importanti furono anche i contatti con il gruppo degli amici bresciani, aperti alle influenze francesi e rivoluzionarie, e con Melchiorre Cesarotti, traduttore dei Canti di Ossian, per il quale Foscolo cominciò a nutrire una notevole ammirazione, giungendo ad intessere rapporti con i letterati che vedevano in lui il loro modello e padre spirituale, e contattandolo personalmente con una missiva del 28 settembre 1795. Il 30 ottobre del 1795 inviò per un parere al Cesarotti, docente presso lo Studio padovano, il manoscritto della tragedia Tieste, di carattere alfieriano e viva di fervori giacobini (rappresentata poi con un certo successo al Teatro Sant'Angelo di Venezia, il 4 gennaio 1797).

Foscolo vide subito in Vittorio Alfieri un modello da seguire; egli trasse il suo stile giovanile proprio da lui, e lo decantò in molte opere. Foscolo inviò il testo del Tieste, con la dedica, alla residenza fiorentina del poeta astigiano. Foscolo preferì non visitare personalmente l'Alfieri, rispettando la sua estrema riservatezza degli ultimi anni, a quanto afferma nell'epistolario e nell'Ortis; pare però che quest'ultimo, anche se non rispose alla lettera del Foscolo, avesse elogiato con alcuni conoscenti lo stile della tragedia, prevedendo il grande avvenire letterario dell'allora giovane ufficiale napoleonico (nonostante l'iniziale disparità di vedute su Napoleone, anche Foscolo poi converrà con Alfieri in un giudizio negativo del generale francese, chiamandolo "tiranno") e futuro primo vero poeta-vate dell'Italia risorgimentale. In particolare, avrebbe affermato che quel giovane l'avrebbe superato in quanto a gloria letteraria.

Al medesimo periodo compositivo del Tieste - se non anche a prima del dramma -, la critica riconduce ormai quasi all'unanimità la stesura di un'altra tragedia, Edippo, rimasta sconosciuta per un secolo e mezzo dopo la morte di Foscolo, finché Mario Scotti ne ritrovò il manoscritto tra le "carte Pellico" presso l'archivio romano della Civiltà Cattolica, nel 1978. L'attribuzione al giovane Foscolo, proposta da Scotti, è stata avallata da molti dei maggiori foscolisti; Scotti e gli altri studiosi hanno riconosciuto nella tragedia l'«Edipo, recitabile ma da non istamparsi», del sottocitato Piano di Studj, escludendo potesse invece trattarsi del completamento dell'Edipo abbozzato in prosa molti anni più tardi a Firenze.

Il testo ci è giunto completo in cinque atti; sebbene impostato sull'impianto narrativo dell'Edipo a Colono sofocleo, si distanzia significativamente dal modello e presenta numerosi calchi dal Polinice e dall'Antigone alfieriani, oltre che dalla Tebaide di Stazio tradotta da Cornelio Bentivoglio, ma dimostra al contempo nell'autore - celato dietro l'improbabile pseudonimo Wigberto Rivalta - una Weltanschauung e delle modalità espressive del tutto personali.

Risale al 1796 un documento della prima formazione letteraria di Foscolo, un ambizioso Piano di Studj comprendente "Morale, Politica, Metafisica, Teologia, Storia, Poesia, Romanzi, Critica, Arti" dove il giovane registrava le letture, i primi scritti, gli abbozzi delle opere da scrivere. Gli autori che vi compaiono sono, tra i tanti, Cicerone, Montesquieu, Rousseau, Locke, Tucidide, Senofonte, Sallustio e i grandi storici romani. Completa il quadro il riferimento alle Sacre Scritture. Tra gli Epici figura Omero, cui tengono dietro Virgilio, Dante, Tasso e Milton. Sono menzionati anche autori contemporanei al Foscolo, tra cui gli inglesi Gray e Young, espressione di una poesia sepolcrale che influenzò sin dall'inizio il poeta, Shakespeare, lo svizzero Gessner e gli italiani Alfieri e Parini. Nel Piano di Studj si trova l'accenno ad un romanzo, Laura, lettere, che la critica ha tradizionalmente riconosciuto come prima idea del romanzo epistolare, concretizzatasi col tempo nell'Ortis.

Il Piano indica inoltre l'intenzione di raccogliere «in un solo libretto col motto Vitam impendere vero [...] dodici Odi del conio dell'autore». Il motto latino, da tradursi «sacrificare la vita per la libertà», era un chiaro omaggio agli ideali rivoluzionari, dato che riprendeva le parole usate in esergo da Marat nel celebre giornale L'ami du peuple. L'ammissione del poeta, secondo cui i testi necessitavano ancora di un lungo labor limae, e la severità della censura veneziana ne impedirono la pubblicazione, ma alcune odi ci sono state tramandate, rivelando il carattere di un'opera in cui si attinge largamente alle Sacre Scritture per comporre una denuncia etico-politica condizionata dagli eventi francesi e influenzata dal modello pariniano.

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Il primo esilio sui colli Euganei e il ritorno (1796-1797)

Intanto, il giovane poeta mostrava segni di insofferenza verso la società veneziana e i suoi salotti, votati all'esteriorità e alle convenzioni, e lontani quindi dal suo spirito libero. Decise pertanto di effettuare un soggiorno a Padova, stimolato dai fermenti culturali della città come dal desiderio di conoscere Cesarotti e i suoi seguaci. Nel luglio del 1796 giunse quindi a Padova, dove incontrò il traduttore dell'Ossian.

Durante l'anno Foscolo scrisse alcuni articoli sul Mercurio d'Italia che destarono i sospetti del governo veneto; ai primi di settembre partì per un soggiorno sui colli Euganei. La tradizione critica ha pensato che tale spostamento fosse dovuto a una persecuzione politica nei suoi confronti, o ancora ad una necessità di riprendersi dopo una delusione amorosa; tuttavia, sappiamo anche che in quei giorni Padova era funestata da un'epidemia di vaiolo, e le truppe militari francesi cominciavano inoltre a entrare in città. In mancanza di documenti storici e epistolari che dimostrino con certezza perché il Foscolo scegliesse il trasferimento in campagna, sono due elementi da tenere ugualmente in considerazione.

Benedetto Croce racconta un curioso aneddoto sull'adolescenza del Foscolo. Il poeta, nominato Segretario della Municipalità, fu invitato a parlare al senato della Repubblica Veneta, e la sua orazione fu "tutta ripiena dei più caldi sensi di libertà; alla fine sguainò un pugnale e, non trovando un petto di tiranno in cui immergerlo, lo piantò nel davanzale della finestra".

Esaltato inizialmente dalle vittorie napoleoniche, che vide come una rinascita dell'Italia, aderì al nuovo regime portato dai francesi, distaccandosene più tardi, e compose le odi giovanili Ai novelli repubblicani - dedicata al fratello «Gioan-Dionigi» - e A Bonaparte liberatore.

I rapporti con il mondo rivoluzionario veneziano, la delusione e la partenza per il secondo esilio (1797-1798)

Dopo il successo del Tieste, Foscolo fece con ogni probabilità un secondo soggiorno a Padova in marzo; frequentò verosimilmente le lezioni di Cesarotti all'università ma il rapporto con il padre spirituale andò progressivamente raffreddandosi, tanto che con il mese di marzo cessano i contatti epistolari tra i due, e l'uno si astiene addirittura dal nominare l'altro nelle proprie lettere per un periodo di quasi sei anni. Tra le altre cose, Foscolo aderiva con fervore crescente agli entusiasmi repubblicani, mentre Cesarotti assisteva con disillusione agli sconvolgimenti politici; sappiamo che in aprile viveva di fatto confinato in campagna.

In seguito Foscolo fu prima a Venezia e poi a Bologna, dove prestò brevemente servizio come volontario tra i Cacciatori a cavallo della Repubblica Cisalpina. Tornò in laguna quando seppe che a Venezia l'oligarchia dogale aveva ceduto alle pretese napoleoniche di costituire un «Provvisorio Rappresentativo Governo». Fu una lettera del patriota Almorò Fedrigo a informarlo; Foscolo la fece pubblicare il 16 maggio sul Monitore bolognese e nei medesimi giorni lasciò la città felsinea.

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A Venezia, il poeta ricoprì il ruolo di « segretario verbalizzatore delle sedute della Società d'istruzione pubblica », posizione che mantenne dal 22 luglio al 29 novembre.

La Società d'Istruzione Pubblica era stata istituita il 27 maggio 1797 dalla Municipalità, e sebbene dovesse ufficialmente coadiuvare la politica democratica municipale, annoverò tra i suoi esponenti più significativi rivoluzionari radicali come i napoletani Flaminio Massa e Carlo Lauberg. Il diplomatico Girolamo Politi affermò nel novembre di quell'anno che la Società era retta da affiliati della loggia massonica «Le colonne della Democrazia», animata da Lauberg, una società segreta attraverso cui i francesi avevano accelerato il processo di democratizzazione delle città venete. Dietro alla Società d'Istruzione - probabilmente una mera copertura - si articolava in effetti una rete di logge politiche improntata al modello giacobino. Secondo la testimonianza delegata dal municipalista moderato Giovanni Andrea Spada alle sue Memorie, la Società si proponeva di condurre la Municipalità verso posizioni radicali. Se le accuse di Spada erano forse espresse in toni eccessivi, non dovevano tuttavia essere molto lontane dal vero.

Non è dato sapere se Foscolo abbia aderito al sistema creato dal Lauberg, ma è accertato che il poeta zacintio fosse legato all'« ala più radicale dei patrioti veneziani », tra i quali figurava Vincenzo Dandolo, intimo amico cui il Foscolo dovette la nomina a Segretario redattore della Municipalità. Nonostante l'incarico non avesse una particolare rilevanza politica, Foscolo fu chiamato varie volte a leggere i verbali dalla Tribuna, e poté assistere alle riunioni della Municipalità e del suo Comitato segreto.

Tuttavia, il 17 ottobre di quel 1797 così esaltante per i patrioti democratici, terminò con il Trattato di Campoformio con il quale Bonaparte cedeva Venezia (fino a quel momento libera repubblica, anche se ormai controllata de facto dai francesi), all'Austria asburgica e il giovane Ugo, pieno di sdegno, dimessosi dagli incarichi pubblici, partì in volontario esilio e si recò prima a Firenze, poi a Milano.

A Milano giunse a metà novembre, conobbe Parini e Monti, che difese qualche mese più tardi dalle accuse che gli si rivolgevano per la sua attività di poeta alla corte romana, innamorandosi inoltre della moglie di lui, Teresa Pikler. Appena arrivato in città, «poverissimo ed esule», cercò di procurarsi un impiego che potesse provvedere al suo sostentamento. A questo proposito, forse su consiglio di Monti, scrisse immediatamente a Giovanni Costabili Containi, amico del poeta ferrarese e membro del Direttorio Cisalpino: «amerei un posto fra gli scrittori nazionali, o fra i custodi della pubblica Biblioteca, ove potrei consacrare i miei giorni alla patria ed alla filosofia». I profughi veneziani, tuttavia, erano gli ultimi arrivati in un imponente flusso di persone che vide convergere verso la città meneghina cittadini della zona centro-settentrionale della penisola. Unendo a questo aspetto le intemperanze pubbliche con cui Foscolo aveva accolto il Trattato di Campoformio nei suoi ultimi giorni in laguna, si spiega l'infelice esito della richiesta.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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