Romanzo a puntate

I giornali (quotidiani e periodici) ma soprattutto le televisioni ci "bombardano" quotidianamente con romanzi che, data la loro lunghezza, non possono essere ridotti di molto senza alterarne il contenuto; di conseguenza si protraggono nel tempo e vengono proposti agli appassionati "a puntate".
A questo proposito avete mai pensato, cortesi amici, perché questo modo di "diluire" nel tempo il contenuto di un romanzo si chiama "puntata"?
Abbiamo svolto una piccola inchiesta tra i nostri conoscenti e nessuno, ahinoi, è stato in grado di rispondere. Un ragazzo ha azzardato una risposta a dir poco umoristica: la puntata serve a "puntare" l'attenzione sul prossimo episodio...
Apriamo, allora, un vocabolario alla voce o lemma "puntata" e leggiamo: parte di un'opera di carattere saggistico, artistico e simili che si pubblica isolata dalle altre in fascicolo o su un numero di giornale o rivista cui appariranno successivamente le restanti parti. Bene. La nostra curiosità, però, non è stata appagata completamente; dobbiamo sapere, ancora, perché si chiama "puntata".
Questo termine ci è giunto dal linguaggio dei rilegatori di libri: la 'puntata' era, infatti, il numero massimo di fogli che il rilegatore poteva fermare con un unico punto. Per estensione si è dato, quindi, il nome di puntata a tutte le pubblicazioni di carattere periodico concernente un unico argomento (e con l'avvento della televisione lo stesso nome è stato dato agli sceneggiati che si protraggono nel tempo).
Ma non è finita. La puntata, intesa come "fermata" è anche — come si dice
comunemente — una breve escursione, una breve sosta in un luogo: "Fece una
'puntata' a Roma e poi tornò con tutta la famiglia a Cagliari".

03-05-2018 — Autore: Fausto Raso