Alfa e beta

«Io ho un libretto nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimi altri se ne può formare una perfettissima idea, e questo è l'alfabeto; e non è dubbio che quello che saprà bene accoppiare e ordinare questa o quella vocale con quelle consonanti o con quell'altre, ne caverà le risposte verissime a tutt'i dubbi e ne trarrà gli insegnamenti di tutte le scienze e di tutte le arti, in quella maniera appunto che il pittore da i semplici colori diversi, separatamente posti sopra la tavolozza, va, con l'accozzare un poco di questo con un poco di quello e di quell'altro, figurando uomini, piante, fabbriche, uccelli, pesci ed insomma imitando tutti gli oggetti visibili, senza che sulla tavolozza siano né occhi né penne né squame né foglie né sassi».
Così , Galileo Galilei nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Non c'è dubbio alcuno, infatti, che l'invenzione dell'alfabeto è stata la più grande rivoluzione della storia dell'essere umano: non più un segno per ogni parola (idea) ma un segno per ogni suono. Ed è altrettanto indubbio che da allora scrivere e leggere fu molto più facile di prima e che oltre alle persone così dette acculturate (sacerdoti e scribi) anche i commercianti e gli artigiani capirono che l'alfabetizzazione era di notevole importanza per la conduzione dei loro affari.
Sembra che i primi a introdurre i segni per indicare nomi e numeri siano stati i Sumeri, ma si deve ai Fenici la semplificazione dei sistemi delle prime scritture e la scelta di un segno per unico suono. Nacquero, così, quei segni che diedero vita all'alfabeto, il codice - inventato dall'uomo - più perfetto per comunicare. Da questo codice - dall'alfabeto fenicio - nacque quello greco, da questo l'etrusco, dall'etrusco il latino e da quest'ultimo il nostro.
Ma perché questo codice di comunicazione venne chiamato alfabeto e non, per esempio, emmenne? Perché, per semplicità, gli si è dato il nome delle prime lettere greche, alfa e beta, corrispondenti alle nostre A e B. Questo codice, dunque, è il complesso di tutte le lettere di una lingua disposte secondo un ordine convenzionale e non modificabile. Questo ordine immutato ci permette, infatti, in caso di consultazione di un vocabolario o di un elenco degli abbonati al telefono, di trovare subito il nome che cerchiamo: ciò grazie, appunto, all'ordine rigorosamente alfabetico. In un elenco telefonico, per esempio, Rossi Alessio si troverà prima di Rossi Antonio in quanto il codice, cioè l'alfabeto, stabilisce che la lettera L - nell'ordine - si trova prima della lettera N.
Per quanto attiene ai vari segni dell'alfabeto, questi si dividono in consonanti e vocali. Le prime - lo dice la stessa parola - sono quelle lettere (segni) che per emettere un suono debbono necessariamente accompagnarsi a una vocale (latino consonantes, participio presente plurale di consonare, suonare assieme, letteralmente: sonanti insieme): D (dpiù i); V (v più u) eccetera.
Le vocali, invece, sono segni o meglio lettere che hanno suono proprio, non hanno bisogno, cioè, di accompagnarsi a un altro segno (o lettera) per emettere un suono (dal latino vocales litterae, lettere che hanno voce): a, e, i, o, u.
Da notare, a proposito delle vocali, che i segni sono cinque, ma i suoni sono di più. La vocale a ha un unico suono, sempre aperto; così anche la i e la u, sempre chiuso; la e e la o, infine, hanno due suoni (aperto e chiuso). Questi suoni si simboleggiano con l'accento, chiamato accento fonico (dal greco φονή , phonè, suono).
L'accento grave () dà alle vocali un suono aperto, l'accento acuto (/) dà, invece, un suono chiuso: cioè (e aperta); perché (e chiusa). A questo proposito non capiamo perché - visto che tanto la ‘i' quanto la ‘u' hanno un unico suono chiuso - le tastiere delle macchine per scrivere e quelle dei calcolatori (personal computer) hanno le vocali suddette con l'accento grave (ì, ù). Ma tant'è.
Per concludere, non vogliamo tediarvi oltre misura, ricordiamo che le lettere dell'alfabeto possono essere rappresentate in diversi tipi di carattere: maiuscolo (latino maiusculus, un po' più grande); A, B, C ecc.; minuscolo (latino minusculus, un po' più piccolo): a, b, c; corsivo (dal latino cursivus, corrente, a mano) e a stampa.

24-07-2018 — Autore: Fausto Raso